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Le ambizioni di “se non ora quando”

5 Dicembre 2011
pubblicato su Europa il 3/12/2011
di Franca Fossati

Care donne, care donne italiane per nascita o per scelta, scrivono le promotrici di Se non ora quando, care donne che eravate in piazza  il 13 febbraio, care donne che non avete perso il coraggio, care donne sorelle compagne amiche, figlie e madri, siamo una forza. Una forza da far valere. Quindi, di nuovo in piazza, a Roma e in tutta Italia, l’11 dicembre.

Proposta ambiziosa. Il confronto con la grande uscita di febbraio ed anche con il convegno a cielo aperto di Siena dello scorso luglio potrebbe risultare penalizzante. Finito l’antiberluscolismo che si era nutrito della dignità femminile offesa, i grandi media tacciono. Repubblica, che sembrava la prima sponsor di ogni sussulto femminile di protesta, finora non sembra sostenere l’iniziativa. Tutta la preparazione è sulle spalle dei 120 comitati Snoq, della rete dei social network, del passa parola. Tacciono le filosofe e anche tra le femministe non si è riaperto il dibattito che aveva accompagnato le precedenti mobilitazioni.  C’è chi, anche a sinistra, pensa che si tratti di una proposta inopportuna.

Con la crisi che attanaglia l’Europa, e la politica ammutolita che ha delegato l’emergenza ai super eroi del governo “tecnico”, che cosa hanno da dire le donne? Ci sono tre ministre di peso, un governo politicamente corretto non allergico ai discorsi paritari e drammatiche priorità che accomunano tutti: è il momento di stare uniti e farsi carico della salvezza del paese. D’altronde è sempre stato così: in situazioni d’emergenza le donne come soggetti politici tornano invisibili. Guerre, rivoluzioni, calamità, terrorismo, crisi economiche: c’è sempre stato qualcosa di più importante, che veniva prima delle istanze femminili. Alle donne toccava ricucire, assistere, sostenere. Nelle retrovie.

Qui è il punto, questa la sfida:questa volta esserci, nella crisi. Avere parola. Anche perché la crisi, come a tutti è evidente, sta mettendo in discussione le grandi categorie dell’economia e della politica create dagli uomini. Se non ora quando è diventato un cappello sotto cui si nascondono idee e generazioni diverse, coordinamenti professionali, nostalgie di militanza, voglia di politica. E’ oggi una rete che si tiene unita attraverso denominatori comuni quasi sempre minimi. Non è da lì ( ma neanche da altri luoghi più pretenziosi, mi pare) che può venire una proposta organica su come cambiare il mondo o anche solo l’Europa. Ma mettere in campo corpi, saperi, energie femminili è la premessa di ogni cambiamento.

I temi che si agitano sono sempre quelli. Welfare, lavoro, rappresentanza. Declinati al presente vogliono dire, ad esempio, che se si aumenta l’età pensionabile per le donne vanno aumentati anche gli asili nido, i congedi di paternità e i servizi per gli anziani. Che il fisco non deve premiare “le mogli a carico”, ma favorire l’occupazione delle medesime mogli. E che, ma qui l’occhio è rivolto ai partiti e alle elezioni, è ora di finirla con le quote risicate e umilianti e passare decisamente al cinquanta per cento. Non per tutelare le donne, ma “per contenere la presenza degli uomini”. Sarà attraverso questo riequilibrio dei generi che potranno rifondarsi i partiti?   Quelle di Snoq promettono: quando chiederete il nostro voto non lo daremo più “né per simpatia, né per ideologia”, ma solo su programmi e impegni concreti.

Intanto sarà interessante vedere se l’11 dicembre dell’era post berlusconiana riusciranno a essere in tante a gridare, come recita lo slogan, “mai più contro di noi, mai più senza di noi”.

 

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