E se ci prendessimo cura anche della sinistra?

14 Dicembre 2011
Intervento all'incontro sulla "Cura del vivere", 30 ottobre
di Rosetta Stella

Trovo sbagliata la confusione che spesso parlando si fa tra relazione e cura. Sebbene siano tra loro  strettamente connesse queste due pratiche non sono sinonimi: ci può essere infatti relazione senza cura e cura senza relazione. In entrambe, sia nell’attività di cura sia nelle azioni connesse a tenere in piedi una relazione, c’è un carico individuale direttamente condizionato dai singoli caratteri che entrano in gioco, così come c’è un carico che potremmo definire politico.

Per quanto riguarda l’ambito delle relazioni l’aspetto politico si è già ampiamente significato sia da un punto di vista simbolico sia da un punto di vista di vera e propria pratica  inaugurata dal femminismo e in particolare dal pensiero della differenza. E la cosiddetta cura delle relazioni ampiamente praticata tra le donne più avvertite politicamente ha finito per accreditare la confusione di cui sopra. Sebbene sia ovvio che non possa darsi relazione significativa, da nessun punto di vista, se non c’è cura di essa. Mentre la relazione ha già guadagnato il necessario corredo di consapevolezza politica per essere messa sul mercato come agente fondamentale della politica interamente intesa, la cura no.

Quello del gruppo del mercoledì quindi non vuole essere il suggerimento di un tema da scandagliare più di quanto non sia già stato fatto precedentemente, vuole essere invece una indicazione di pratica – pratica politica della cura – da inaugurare in termini di consapevolezza che, a partire dalle esperienze, possa entrare nel mercato dei  rapporti politici tra le persone. Mettere in campo una pratica, sdoganarla dal suo aspetto individuale e privatistico, restituirle significazione pubblica e perciò politica, comporta  restituirle prima di tutto il significato simbolico che ha quando agisce come collante insostituibile nei rapporti umani.

Questo avviene attraverso un atteggiamento che non sia il semplice subirla, quando è dettata da uno stato di necessita, ma avviene facendola diventare un’azione soggettiva responsabile carica di tutta la dignità che merita. Lo abbiamo già visto accadere nella lotta per i beni comuni come l’acqua questo trovare in se stessi senso e significato alle proprie azioni. Sono consapevole che quello che sto dicendo sulla cura non è privo di trappole per quanto ha di “destino femminile” e di dis-valore ma vale la pena secondo me di rischiare.

La valorizzazione simbolica, quella che passa per canali differenti, più prossimi alle verità elementari piuttosto che attraverso i codici che regolano il cosiddetto vivere civile, è qualcosa che va sempre e continuamente rinnovato e movimentato da aggiustamenti di risignificazione perché altrimenti immediatamente si perde. Io penso che la cura e l’attività ad essa connessa, oggi sia la parola che più necessita di questa valorizzazione e nello stesso tempo penso che la si possa lanciare  come parola apripista per rimettere in circolo un’opera di potenziamento simbolico che caratterizzi fin da ora la qualità civile della nostra epoca.

Come per il  ‘900 è stato il Lavoro così oggi, alle soglie del terzo millennio, lo sarà la cura.

Questa parola già sta in bocca a tutti: filosofi, sociologi e politici…… evocata come parola chiave miracolosa ogni volta che si tenta di disegnare scenari futuri di un vivere civile. A questo proposito mi viene in mente tanto per fare un esempio Franco Cassano nel suo  L’umiltà del male. Nel linguaggio corrente l’espressione “ci vorrebbe più cura” è diventata anch’essa un bene comune. Spetta alla nostra generazione e a noi donne, prima di tutto, che di questa attività ne abbiamo sopportato il peso  di cui così difficilmente riusciamo a liberarci, la responsabilità di capovolgerne il senso, anzi di addizionarne se non addirittura di generarne il senso, tanto da poterlo lasciare in testamento come eredità acquisita.

Nel rapporto di amore e odio che le donne hanno intrattenuto con la sinistra – si potrebbe dire che la nostra relazione con la sinistra è stata senza cura – capita oggi che questa sinistra si presenti sullo scenario politico indebolita e afona, deprivata di idee guida, mentre il nostro pensiero e la nostra pratica avrebbero da mettere a disposizione “parole consistenti” come sta diventando la parola cura. Potremmo anche credere di potercene disinteressare ma invece io penso che no, perché l’impoverimento del valore portante delle cosiddette idee di sinistra impoverisce tutti e anche noi. Tale impoverimento ci coinvolge e ci carica di responsabilità anche inedite o che credevamo di non avere. Questa responsabilità, io personalmente, me la sento tutta addosso e per quanto posso vorrei metterla al servizio per contribuire ad evitare di accelerarne il disastro.

Concludendo inviterei a fare un giochino con me: andiamoci a rileggere il mio testo pubblicato nel supplemento a Leggendaria, che è alla base della nostra discussione di oggi. Al posto del vecchio , del malato, del bambino ecc. mettiamo la sinistra vedremo come l’insieme regga perfettamente e acquisti per incanto il valore di un intervento politico a tutto tondo.

 

 

 

 

 

 

 

 

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