Dalla città di pietra alla città vivente

8 Dicembre 2011
Pubblicato su "La Sicilia" del 3 docembre 2011
di Pinella Leocata

Riceviamo dalle amiche della “Città Felice” questo articolo di Pinella Leocata pubblicato sul quotidiano “La Sicilia”, che si inserisce nel confronto sul tema della cura, e che volentieri pubblichiamo:

Quando fu reso pubblico il progetto di raddoppio ferroviario dalla stazione centrale ad Acquicella, e si capì che il nuovo tracciato avrebbe implicato la demolizione di antichi palazzi, di parte delle mura della città cinquecentesca, e …lo sventramento di piazza Federico di Svevia, le donne della Città Felice di Catania protestarono, a modo loro, mettendo in campo il linguaggio e la forza dell’arte. Segnarono con gesso bianco le dimore destinate a scomparire, e lasciarono tracc ia del loro passaggio in enormi orme adesive di mani e piedi. Gli abitanti seppero, e si ribellarono. Si deve anche a queste donne se lo scellerato progetto è stato fermato.

E’ una delle tante, fantasiose, pratiche messe in campo dalla politica delle donne, è una delle tante esperienze di riappropriazione delle città e degli spazi comuni raccontate in «Architetture del desiderio », un volume a tante voci curato da Bianca Bottero, Anna Di Salvo e Ida Farè, edito a Napoli (Liguori editore) e pubblicato con il sostegno della facoltà di Architettura del Politecnico di Milano con sede a Piacenza. Un testo in cui le donne della rete delle «Città Vicine» si confrontano sulle «Microarchitetture del quotidiano», su sapere femminile e cura della città. E il sapere femminile, la politica delle donne, ha insegnato ad affrontare anche il tema delle città non a partire dai tanti problemi e dalle possi bili soluzioni, ma da se stesse, dal proprio desiderio e dalla sua traduzione in vita. Non desiderio di cose, ma del modo in cui ognuna/o vuole vivere nel proprio quartiere, nella propria città.

Un modo centrato sulle relazioni. Un approccio all’architettura rivoluzionario rispetto a quello degli specialisti perché sposta l’attenzione dalla città di pietra alla città vivente e perché trasferisce alle città il concetto di cura. E la cura implica attenzione, coinvolgimento, amore. Perché, come scrivono i tanti autori di queste storie di impegno civile – e sono associazioni, comitati cittadini, gruppi di donne – «un progetto di città è un progetto di società e per questo il potere decisionale deve tornare in mano pubblica. Perciò un piano regolatore, o strutturale che sia, deve essere aperto alla corresponsabilità, dalla fase di elaborazione a quella attuativa e gestionale, per impedire sfruttamenti personali di quel bene collettivo che è una città». Così «la questione urbana assurge a dignità di problematica sociale, e l’urbanistica stessa diviene uno dei fattori che contribuiscono alla costruzione di una comunità democratica ».

Un approccio tanto più importante in una fase storica in cui si è passati dall’urbanistica autoritativa alla contrattazione con la proprietà immobiliare, in cui la pianificazione territoriale è saltata e i piani regolatori devono adeguarsi ai progetti privati e non viceversa. Le esperienze raccolte dalla rete di donne delle «Città vicine» raccontano un’altra storia. Raccontano delle proteste dei cittadini di Foggia per la distruzione di una piazza storica e dei suoi alberi antichi e la sua ricostruzione attraverso le foto e i ricordi. Raccontano della lotta di alcuni fiorentini per indire un referendum contro la tranvia pro gettata in pieno centro, proprio davanti a Santa Maria Novella. Un referendum vinto contro ogni pronostico. Raccontano della campagna, a Chioggia, volta a fare rispettare la legge 113 del 1992 che prevede sia impiantato un albero per ogni bimbo che nasce. E ancora dei nonni che reagiscono al degrado del parco ad Acqua Santa, a Roma, e si fanno carico della sua gestione. Del giardino delle bambine e dei bambini di Bologna gestito dalle mamme, italiane e straniere, costituitesi in cooperativa, e trasformato in luogo d’incontro, in spazio per attività culturali, politiche e ludiche.

E racconta della Sicilia, delle terre confiscate alla mafia e affidate ai ragazzi di Libera che ne hanno fatto luogo di produzione biologica, ma anche di educazione alimentare, di sperimentazione di forme innovative di sostegno – come l’adozione a distanza di una vigna, di un albero da frutto – e di fornitura di servizi turistici e riabilitativi quali sono gli agriturismo, le fattorie dida ttiche, gli economusei e i tanti modi di tutela e di promozione del paesaggio. Racconti di esperienze di cura e di progettazione dal basso che mettono il fattore tempo al centro della gestione degli spazi. Racconti che danno corpo e vita ai desideri e alle loro possibili architetture.

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