Dapprima solo sul Web e poi anche sui giornali le donne si sono fatte vive. Trafiletti, colonnine, appelli, riquadri a corredo degli articoloni seri di analisi politica e prefigurazioni del futuro possibile. Nuova stagione, nuovo governo: sarà monosex? Sarà un gruppo di “anziani maschi stimati e presentabili”, si domanda la scrittrice Silvia Ballestra, a sostituire gli “impresentabili” di prima, altrettanto anziani e maschi? Il toto ministri conferma. Solo ogni tanto compaiono due, esattamente due, nomi di donna. Rivendicare “la urgente necessità di dare pieno valore alle grandi energie e competenze femminili nella nuova stagione politica..” (Se non ora quando) è un dovere di ruolo. Meglio Facebook e i Blog dove almeno si osano nomi. Anna Paola Concia propone la sua rosa: Irene Tinagli, Lucrezia Reichlin, Chiara Saraceno, Livia Pomodoro e altre. Sul sito della rete Armida (network delle professionalità femminili nella pubblica amministrazione) se ne trovano a ciuffi. “Tecnico non vuol dire maschio” titola L’Unità. Appunto: non mancano economiste, sociologhe, filosofe, studiose di diritto, esperte di welfare. Anzi. E’ nella politica-politica che le donne fanno fatica a giocare, se si tratta di competenze e saperi invece vanno fortissimo. Non è il merito che dovrebbe vincere? Com’è però che i nomi delle meritevoli non vengano in mente a quelli che immaginano il puzzle del governo (o del Consiglio di Facoltà) che dovrebbe salvare il paese?
Lo sappiamo da sempre che le lobby, le cordate le sanno fare i maschi. Hanno una storia antica di sostegni reciproci, di do ut des, oltre che di amicizie virili. Hanno scoperto il mito di Achille e Patroclo fin da piccoli, mentre alle femmine toccava identificarsi con quell’ insipida Elena contesa tra Paride e Menelao. Non c’è da stupirsi allora che anche in questa tornata chi immagina la squadra di governo che dovrebbe riaggiustare l’Italia e ridarle un’immagine di compostezza e responsabilità pensi subito a una schiera di signori in cravatta. Quelli che hanno già lavorato insieme, che si capiscono al volo, che si sono più volte incontrati negli stessi convegni o negli stessi consigli di amministrazione, che amano gli stessi aperitivi e frequentano le stesse cene.
Ma è sufficiente lamentarsi di questo automatismo conformista? Non è un po’ umiliante chiedere ancora una volta agli uomini di aprire il loro “cerchio magico” per far posto a qualche donna?
Il fatto è che bisognerebbe pensarci prima. Prima delle emergenze. Prendere il coraggio di scegliere quelle tra noi che sono più brave, più capaci, riconoscere il loro valore. Darsi gli strumenti per imporle all’attenzione della politica e dei media. E anche dei Presidenti della repubblica. E rischiare di sbagliare.
Allora anche la discussione e le contraddizioni tra donne si farebbero più interessanti. Quali sarebbero i titoli di merito da far valere in una immaginaria lista meritocratica? La preparazione, senza dubbio. Ma basterebbe? E quanto dovrebbe contare la capacità di relazione, l’attitudine a ricomporre i conflitti, la generosità di sé, l’attenzione al punto di vista delle altre, la conoscenza del pensiero femminista? Qualche settimana fa, quando sembrava che le elezioni potessero essere all’ordine del giorno con l’attuale legge elettorale, Cinzia Romano parlò su Il Riformista di “primarie di genere”. L’idea era: se gli eletti saranno ancora una volta dei “nominati”, almeno le donne nominiamole noi. Non so se sia un’ idea praticabile, ma non sarebbe male parlarne. Visto che prima o poi (speriamo non troppo poi) le elezioni ci saranno.
Ma non raccontiamoci favole, non è detto che un governo di donne e di uomini prenda provvedimenti migliori di un governo monosessuale. Certo assomiglierebbe di più ai governati, e quindi sarebbe più giusto.