Lavoro di cura: cura di sè

22 Novembre 2011
Intervento all'incontro sulla "Cura del vivere", 30 ottobre
di Antonia Tomassini Franca Chiaromonte

L’argomento di questo convegno rinvia all’arcaico, a cose che in parte si sanno, in parte qualcuno o meglio qualcuna le aveva già dette, in parte erano assunti di una cultura di una certa borghesia moderata, in parte appartengono alla consuetudine, in parte al collettivo ed in parte al privato.

E’ stato più complicato del previsto per Franca e indirettamente per me trovare una collocazione originale tra le cose che molte di voi hanno elaborato, alcune generalizzando il concetto, altre muovendosi dalla propria esperienza personale o lavorativa per cercare di congiungersi ad una narrazione collettiva.

E crediamo che anche questo tentativo, in primo luogo di Franca e poi anche mio si collochi in questa direzione, obbligate a sbrigliare la complessità anche del nostro rapporto professionale ed umano per centrare meglio il nodo di questo dibattito, la cura.

Da un pò di giorni (ma soprattutto dopo tanti di discussione) Franca mi dà una griglia di intervento, mi annota le sue osservazioni generali e mi suggerisce di leggere un testo per aiutarmi si tratta di “La cura di sè” di Foucault. Come al solito parlottiamo per capirci, ci prendiamo in giro per le distanze di analisi che sempre caratterizzano le nostre discussioni e via al lavoro.

E questo è un lavoro di cura. Cura del pensiero di Franca, tentativo continuo di offrire un rispettoso megafono al suo mondo di idee ed alle sue sensazioni. Cura di me, delle passioni che che questo mi muove, le difficoltà, le incertezze, il dovere di farla parlare e la voglia a mia volta di dire la mia.

E finalmente toccare un argomento che a sua volta fa emergere tutte le difficoltà e le cose belle inscritte in questo rapporto di lavoro e di affettività dandogli una dignità ed in fondo un modo per esprimerle.

Franca appartiene a quella generazione di donne e di femministe che della cura di sè hanno fatto pratica quotidiana ed argomento politico. Esco, lavoro, vivo, faccio l’amore, cerco la libertà, faccio politica, cerco di realizzarmi come donna e come individuo all’interno della società. E poi c’è la parte del mi prendo cura, delle tante relazioni femminili che contraddistinguono la mia vita, anche questo un lavoro continuo, la costruzione di una grande famiglia collettiva al femminile dove alcuni uomini passano, segnano il passo e lasciano tracce, alcune enormi come quelle del padre Gerardo o quelle del cane Puck. Non vi è traccia di quelle cure “classiche” come la casa, i figli, la spesa, i genitori.

Come la mettiamo? Allora chiamiamo in nostro aiuto Foucault che nel descrivere l’affermarsi nel mondo ellenistico – e romano dell’individualismo come spazio sempre maggiore accordato agli aspetti privati dell’esistenza scrive che esso è sia “valorizzazione privata , vale a dire l’importanza riconosciuta ai rapporti familiari, alle forme dell’attività domestica ed alla sfera degli interessi patrimoniali, sia l’intensità dei rapporti con sè, cioè delle forme nelle quali si è chiamati ad assumere se stessi come oggetto di conoscenza e campo d’azione, allo scopo di trasformarsi, correggersi, purificarsi, edificar ela propria salvezza”.

Bene, questo sembra un buon punto di partenza. Ma ad esso va aggiunto, e non certo di corollario, che, e qui vediamo che ancora una volta vale la pena correggere il pensiero elaborato dall’universo maschile, un elemento fondamentale, la cura è campo d’azione principalmente femminile, quantomeno nel suo aspetto di cura del familiare e del sociale, dello spazio privato e dello spazio pubblico inteso in tutta la sua ampiezza.

Oggi il femminismo mette al centro e celebra la cura. Come mai questo non è avvenuto prima? Ecco questa domanda che Franca si è posta e mi ha sottoposto forse varrebbe la pena di scioglierla e di approfondirla. Io mi permetto di osservare che questo cambiamento lodevole ed interessante è in parte tardivo o quantomeno non vuole fare i conti con un mondo femminile che anni fa si è sentito escluso dal femminismo proprio perchè praticando l’universo della cura nell’ambito familiare non poteva certo tenere il passo di tutte quelle donne che delle case e della sola cura dei figli e dei familiari più di tanto non voleva sentir parlare o che la viveva in opposizione alla personale ricerca di libertà e di autodeterminazione dei tempi di vita.

Ma ritorniamo alla cura in quanto universo specificamente femminile, e lo facciamo mischiando ancora una volta le carte. Senofonte nel descrivere questa forma complessa di cura di se stessi conia un termine, la chiama epimeleia: con essa si intende il padrone di casa, il ministero del príncipe nei confronti dei sudditi, le cure da prestare ad un malato o ad un ferito, le onoranze da tributare agli dei o ai defunti. Dunque attorno a questa cura di sè si sviluppa un’intensa attività di parola, azione, scrittura. Ma cio che è importante sottolineare è che questa attività non è un esercizio di solitudine ma una vera e propria pratica sociale. Lo dice bene Séneca che nelle “Lettere a Lucilio” parla di un vero e proprio esercizio spirituale che comporta un recíproco gioco di scambi con l’altro ed un sistema di obblighi reciproci. Durante la malattia Franca ha usufruito di questa intensa pratica sociale, pratica che tranne alcuni casi (Alberto, Aldo, Giorgio, Macaluso, Uliano e magari altri che ho dimenticato di citare) ha visto in gioco soprattutto donne, durante l’apice dell’evento e soprattutto dopo, quando le difficoltà quotidiane si sono fatte pressanti, quando l’aiuto di Letizia (come fare senza di lei nel ricominciare con i piccoli movimenti in casa, le prime vacanze, quelle mattine dove la prima era piangere pensando al futuro) o Sílvia e mamma, o Fulvia e Laura e Bianca e  Giovanna – e Roberta Tatafiore – Lia ….e poi di tante tra voi ha fatto sì non certo che ci fosse un ritorno alla normalità ma che la malattia non cancellasse un nuovo modo di esistere, di pensare, di comunicare i propri pensieri ed emozioni all’esterno. Insomma un universo femminile impegnato a curare l’anima di un’altra donna, quell’anima che, scrive ancora una volta Séneca “ è la sola parte della nostra vita che è sacra ed inviolabile, che sfugge ad ogni umana fatalità ed alla tirannia del caso, che nè la povertà, nè l’assalto delle malattie possono sconvolgere…..eterno e sereno ne è il possesso”.

Poi per Franca c’è stato il ritorno al lavoro politico, quello della politica istituzionale del maschile ed anche qui ha incontrato un universo femminile attento, curioso di capire quello che lei dicesse. Sono nati nuovi rapporti complicità, con me ad esempio al Senato dove lavoriamo, con Annamaria Carloni, Anna. Oppure  Lia ed altre donne.

Quando arrivo al Senato e la osservo la vedo parlare fitta fitta con altre donne, gli uomini si muovono sbrigativi, a volte fanno finta di capire, altre si imbarazzano, tagliano corto. E questo anche perchè l’universo della cura è un universo lento, paziente, richiede fatica e anche un certo senso dell’umorismo, non certo o tutte qualità che ritroviamo negli uomini, figurarsi nei politici. Quando poi ci si abitua a lasciarsi andare alla cura dell’altro a volte si diventa ancora più generose e si trova nuovi modi per prendersi cura degli altri. Io credo che questo sia il caso di Franca.

Nell’ambiente della politica ormai sono poche le persone che hanno interesse alla formazione dell’altro, spinte anche dall’idea che questo possa continuare un giorno al nostro posto, e credo che questo riguardi molto le donne, soprattutto le donne. Ecco io credo che Franca in questa intensa pratica sociale del prendersi cura per come lo abbiamo descritto sin qui sia una meravigliosa eccezione. Franca si prende cura di me, della mia formazione. E cosi succede che la cura di sè e l’aiuto dell’altro si inserisca in relazioni preesisteni dando loro nuova connotazione e un calore più grande. Seneca in una lettera a Lucilio scriveva “ ti rivendico a me: sei opera mia” ma poco dopo aggiungeva “ma ormai ti esorto! Tu sei in piena corsa e mi esorti a tua volta a correre”.

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