Merci / Desideri

produrre e consumare tra pubblico e privato

Sara, dal Fai alla macelleria

2 Maggio 2011
"VOGLIO LAVORARE, A MODO MIO" Da "Leggendaria" n.86, una riflessione su lavoro/ricatti, tempo/denaro. Introduce Giovanna Pezzuoli, con Silvia Neonato, Bia Sarasini e Pat Carra. Libreria delle donne, Milano, via P. Calvi 29, mercoledì 4 maggio ore 18.30
di Silvia Neonato

Sognava di occuparsi del patrimonio artistico italiano e infatti ha
lavorato nell’abbazia ligure di San Fruttuoso, che risale al Mille, una
gemma restaurata dal Fai che ne è il proprietario dagli anni Ottanta.
Ora lavora nell’azienda familiare con l’amato fratello Stefano,
una fornita macelleria sull’Aurelia a Ruta di Camogli. Frustrata?
Per fortuna no. «Finalmente lavoro e ho la possibilità economica di realizzare
i miei sogni, di andare al teatro, alle mostre, di comprare libri e viaggiare.
Amo anche scrivere e posso partecipare ai concorsi letterari. Sono quasi
tutti a pagamento, magari solo 20 euro di tasse, ma prima era un problema
anche questo. Vivo con il mio compagno e la mia famiglia non è povera:
ma come si fa a chiedere sempre? Se facessi la dipendente in un’altra
macelleria, forse la vivrei come una sconfitta, ma nell’azienda di famiglia
sento di realizzare qualcosa di utile. E poi c’è una grande armonia con mio
fratello, è stata una fortuna che mi abbia proposto di lavorare con lui e sua
moglie. Insomma, mi sono finalmente tolta un bel peso dallo stomaco, una
gran frustrazione. E so di essere una delle poche fortunate che ha trovato
un’alternativa valida. Ho un’amica disegnatrice di 30 anni che, dopo un
corso qualificato, va in nero a 6 euro l’ora da un geometra. A dicembre ha
fatto la baby sitter perché il geometra l’ha lasciata a casa, non aveva lavoro.
Ha chiesto mille volte di essere assunta, ma lui risponde che può trovare
una stagista gratis».

Sara Schiappacasse ha 29 anni, è di Camogli e dopo aver frequentato il
liceo classico genovese Andrea Doria, nel 2006 si è laureata a Genova in
Beni culturali. Da dicembre 2010 è coadiuvante nell’azienda familiare di
macelleria di cui è titolare il fratello. Lavora nel pomeriggio, mentre il giovedì
e il sabato è impegnata in negozio tutto il giorno. Amerebbe allestire
mostre o organizzare musei: il suo percorso di studio glielo consentirebbe.
«L’anno in cui mi sono laureata, dopo due mesi, ho fatto la stagione da
Cavassa, la gelateria di Recco, come banconiera. Cosa vuol dire? Facevo i
coni al banco. L’anno dopo ero sempre cameriera, sempre stagionale, al ristorante
“I muagetti” di San Rocco. Per non parlare delle ripetizioni di latino
e greco (che tuttora do, perché mi piace) e del mestiere di baby sitter,
per integrare i mesi invernali in cui in Riviera si trova ben poco. Poi ho lavorato
tre anni all’abbazia di San Fruttuoso, che il Fai ha riaperto negli anni Ottanta. Sono stata assunta come assistente di biglietteria,
un contratto stagionale che finiva per
comprendere tutto, anche le pulizie. Ero partita entusiasta,
corrispondeva ai miei studi e il Fai mi aveva
promesso che sarei stata anche guida all’interno
dell’abazia. Non mi spaventava pulire stanze e gabinetti,
né fare la commessa al bookshop e neppure la
stagionalità, ma in realtà le guide arrivavano sempre
da fuori perché noi due assunte eravamo troppo
prese dalla manovalanza. Lo stipendio? Dipende dal
mare e dagli eventi culturali. San Fruttuoso si raggiunge
solo col battello e ad esempio il mare grosso
del maggio scorso mi ha causato la perdita di tante
giornate di lavoro: se non parti, prendi solo 20 euro,
ma devi stare comunque in banchina ad aspettare il
battello dalle 8 alle 11. Mi pare di essere arrivata a
700 euro. In agosto invece, al massimo degli straordinari,
ne ho incassato 1300: lavoravo dalle 8.30 e ripartivo
con la barca delle 18. Quando c’erano i concerti,
tornavo con la barca di mezzanotte oppure
dormivo direttamente lì, in una stanzetta della torre
… Alla fine del 2010 ho scelto di lasciare e sono andata
nel negozio che era dei miei genitori e dove sono
stata fin da bambina».

Ma Sara, non sarai mica stata sempre ferma in Liguria?
Figuriamoci. Ha vinto una borsa per un Erasmus
a Barcellona, città in cui ha poi vissuto e lavorato
tre anni. «Anche lì ho fatto domande di lavoro al
Centro di cultura contemporanea, anche perché mi
sono laureata sulla collezione Guggenheim di Venezia.
In realtà non mi hanno preso ma ho trovato posti
di ogni genere, dal dare volantini al catering, fino
a quello di cameriera, il mestiere che finora ho fatto
di più, quello in cui sono più brava! (Ride). Nell’ultimo
posto guadagnavo così bene che andavo al ristorante
solo gli ultimi quattro giorni della settimana.
Ci tengo a far notare che in Spagna non ti propongo-
no mai un lavoro in nero. Come europea, appena arrivata
avevo carta di identità e assistenza sanitaria,
ero regolare. In tre anni non mi hanno mai proposto
neppure di far figurare ore lavorative in meno per
evadere le tasse. In Italia, invece, in un posto avevo
il contratto ma mi venivano negati il giorno di festa
e gli straordinari. Oppure mi è successo che, a discrezione
del datore di lavoro, non prendessi le
mance e che lui stesso controllava quanto bevevo o
mangiavo».

A parte cercare lavoro nei paesi limitrofi al tuo,
che altro hai fatto? «Mi sono iscritta al collocamento
a Genova Nervi, dove ho dato disponibilità a fare
qualunque lavoro (cameriera, ovviamente. E poi dipendente
in negozio e tutto quello legato al mio titolo
di studio, anche stagionale) dal Trentino alla Sicilia.
Non sono mai stata contattata dal 2006. No,
una volta, mi hanno proposto un lavoro da cameriera.
Ho accettato, ma il ristorante poi non è stato
aperto. Eppure ho fatto tutto quello che loro richiedono,
colloqui di orientamento e incontri annuali».
Ma sinceramente Sara, ti senti serena o serenamente
rassegnata? «Non sono mai stata tranquilla
come ora che ho un lavoro. Questo girovagare frenetico
non ti permette un futuro e neanche un presente.
Non ti consente di essere una persona. Credo mi
stesse venendo l’esaurimento nervoso. Non avere
soldi tuoi ti costringe a rinunciare a quel superfluo
per cui la vita vale la pena di essere vissuta. E dire
che mio fratello e il mio compagno mi hanno anche
regalato una Panda nuova tutta per me! Ma guadagnarseli
è un’altra cosa».
Ti piacerebbe avere bambini? «Il mio compagno
è un artigiano, viviamo in casa sua. Ora abbiamo cominciato
a fantasticarlo. Prima la tentazione a volte
era forte, ma mi spaventava troppo dipendere da un
uomo pur generoso come lui. Mia madre mi ha inculcato
che l’autonomia economica è tutto per una
donna. Lei ha sempre lavorato in negozio con papà,
ma non è del tutto uguale. E mi ha anche sempre
detto che noi tre figli siamo la cosa più bella della
sua vita, ma in fondo siamo, in qualche modo, capitati.
Io ho la fortuna di poter dire pienamente: vorrei,
voglio un figlio».

Per ora fa pure volontariato. «Magari fino a qualche
mese fa mi sarei sentita sfruttata, invece oggi curo
con soddisfazione – insieme a un architetto e una artista
– un progetto, sponsorizzato da Fai e Rotary, per
divulgare l’arte contemporanea nelle scuole medie».
Si chiama progetto Lumaca, luce materia colore arte.
Hanno già cominciato con lezioni e laboratori alla
scuola media di Camogli. La passione per l’arte è parte
di Sara. Non è diventata un lavoro remunerato. Pazienza.
Come dice lei, il bello delle donne è la capacità
di essere diverse dagli uomini. Ovvero? «Essere madri
anche se non si hanno figli, prendersi cura degli
altri, è una nostra ricchezza. Mi fanno paura certe donne
che somigliano troppo agli uomini. La Santanché
è il peggiore degli uomini che io conosco. Forse era
inevitabile prendere anche il negativo dai maschi, però
non è quello che desidero per me»

Featuring Recent Posts WordPress Widget development by YD