Merci / Desideri

produrre e consumare tra pubblico e privato

Metalmeccaniche ma anche madri

6 Aprile 2011
Pubblicato su "Leggendaria" n.86
di Maria Rosa La Morgia

“Io sono stata quella che ha scritto… ma c’è stata la collega che ha avuto l’idea, quella che badava ai figli di tutte, quella che teneva alto lo spirito e quella che era semplicemente lì… a regalarci la sua approvazione”. Quando nel dicembre scorso Stefania Fantauzzi, in una lettera a Sergio Marchionne – amministratore delegato della Fiat – ha chiesto un orario che permettesse alle donne di fare anche le madri ha dato voce a un’esigenza che non era solo la sua .
Nello stabilimento Fiat di Termoli, dove lavora da quattordici anni, le donne sono meno di trecento su 2700 operai, la maggior parte ha meno di 35 anni. Rina D’Alleva ne ha 33, sognava di fare l’insegnante ma poi ha scelto il lavoro in fabbrica perché era più sicuro mentre le graduatorie della scuola, strapiene, non promettevano nulla di buono. Ha due figli di sette e tre anni.
Se non avesse i genitori che l’aiutano non ce la farebbe ad andare avanti. Stefania, invece, non ha aiuti familiari, è sola anche perché il marito per ragioni di lavoro sta fuori. Per i suoi due figli più piccoli, hanno 6 e 4 anni, conta sulla disponibilità di una vicina di casa ai quali li affida quando esce al mattino presto. Spesso è ancora notte, anche se Termoli ha la fortuna di vedere il sole sbucare dal mare come tutte le città dell’Adriatico. Per Stefania , Rina e le altre mamme Fiat il massimo è avere il primo turno, dalle 6 alle 14. Faticoso ma con il pomeriggio libero per badare ai figli, perché da queste parti se non hai mamme, sorelle o zie non hai dove lasciarli. Rina, delegata Fiom, se li porta anche al sindacato.
Fino a qualche anno fa, prima dell’era Marchionne, prima degli accordi di Pomigliano e Mirafiori, c’era una certa flessibilità. Non scritta ma nei fatti. Poi tutto è cambiato. In nome di un’uguaglianza formale tra uomini e donne. Quella dei turni perché la fabbrica era e resta maschilista. Dalle tute al tipo di lavoro.
“La taglia più piccola è una xs da uomo e noi ci navighiamo dentro” dice Stefania sorridendo amaramente, quanto alla carriera neanche a pensarci. Rina mi spiega che quasi tutte le donne , con la scusa che hanno una migliore manualità, svolgono i lavori più ripetitivi e sempre gli stessi. “Non puoi immaginare – mi dice – che cosa significhi fare per otto ore, tutti i giorni, per anni, lo stesso lavoro: le braccia non le senti più, la testa ti si svuota , il cervello si spegne. Diventi un ingranaggio”.
Sono questi i lavori che fanno le donne. Ma al lavoro, soprattutto di questi tempi, non si può rinunciare e allora a Termoli, tutte insieme, hanno deciso di far sentire la loro voce. Soprattutto come mamme, perché il problema più grande è quello di conciliare lavoro e famiglia, in una zona dove i servizi sono insufficienti se non inesistenti. La lettera di Stefania Fantauzzi è arrivata dopo che era stata negata la pausa mensa alle mamme in allattamento in quanto avevano un orario ridotto.
La lettera, pubblicata su Repubblica, ha fatto esplodere il caso a livello nazionale. La Fiom le ha aiutate, soprattutto attraverso Barbara Pettine della segreteria nazionale. I metalmeccanici non hanno un ufficio dedicato alla politica delle donne, sono i territori a scegliere come organizzarsi e a Termoli è nato il Coordinamento delle donne. Un movimento che si rivolge adesso a tutti i sindacati per affrontare, come è scritto in un documento, “con maggior cura, buon senso e obiettività i casi delle Lavoratrici che hanno manifestato il disagio di conciliare l’organizzazione del lavoro con la gestione della famiglia”. Leggere queste parole emoziona e un po’ indigna nell’Italia di oggi, che secondo il Global Gender Gap è al 74° posto, dietro a Perù e Vietnam, per condizione complessiva della donna nella società e al 121° per disparità salariale.
Molte delle donne di Termoli sono nate intorno a quel 1977, l’anno in cui Tina Anselmi firmò la legge sulla parità salariale. Trent’anni e più dopo, sono loro , le operaie, a riportare allo scoperto la questione del lavoro femminile. Alla prima riunione del Coordinamento hanno partecipato anche Nina della Fiom di Mirafiori e Sandra della rete donna Fiom di Torino.
Un po’ più a nord di Termoli ci sono le metalmeccaniche abruzzesi in movimento. Marzia Serafini ha preso la parola a Lanciano, provincia di Chieti, durante la manifestazione Fiom. Era iscritta a Economia e Commercio ma non ha più tempo per i rimpianti,“oggi il lavoro non serve a realizzarci ma per arrivare a fine mese” e aggiunge “ noi viviamo in uno stato familiare costruito a dimensione della famiglia patriarcale, qui la doppia fatica è normalità”.
Lei per “conciliare” fa il part-time in una fabbrica dell’indotto Fiat a Vasto. Pensa che creare un coordinamento di donne sia utile forse perché, come dice Barbare Pettine, c’è “il problema di far emergere anche dal punto di vista della soggettività sindacale il punto di vista delle donne”. Certo è che una fabbrica più umana, meno rigida e più flessibile, converrebbe a tutti.
Qualche tempo fa su un giornale c’era questa dichiarazione di Marchionne: “Ritengo che il vero valore di un amministratore delegato dovrebbe essere misurato in termini di impatto umano sull’organizzazione e di capacità di scegliere i giusti leader e metterli al posto giusto”, precisando che i giusti leader “sono coloro che hanno il coraggio di sfidare le cose ovvie, che navigano su acque inesplorate, di rompere le convenzioni e le vecchie modalità di fare le cose”.
Le operaie di Termoli corrispondono alla fotografia.

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