Locale / Globale

relazioni politiche, dal quartiere al mondo

Italiani (e giovani tunisini) brava gente

5 Aprile 2011
di Letizia Paolozzi

Giovani uomini insieme. In tanti. A Lampedusa dormono all’aperto. Restano senza cibo, senza acqua. E loro manifestano, protestano, fanno lo sciopero della fame. Il fornaio locale prova a impastare un pane simile a quello che questi giovani uomini mangiavano a Gerba. Gli spaghetti con il tonno li schifano. Buttano a terra il piatto. “Puzza”. “No, che non puzza, guardate io la mangio”. Il poliziotto per dare il buon esempio se ne infila una forchettata in bocca.
Nell’isola ci sono tre gabinetti chimici per migliaia di tunisini. Allora, i bisogni si depositano dove capita. Finché la spiaggia viene ripulita gomito a gomito da immigrati e abitanti dell’isola.
Altri immigrati si sdraiano sul molo. Oppure sciamano e rubano quel che trovano. Magari infilandosi nelle case. I volontari, i mediatori culturali traducono, spiegano, discutono con le madri che protestano sul molo: I nostri bambini non vanno più a scuola; hanno paura. Poi ci ripensano. Accolgono con i pannolini la donna che ha partorito in mare.
Dalle barche però scendono poche donne. Tra i migranti non se ne vedono. Maschi più coraggiosi, più avventurosi; femmine più timide?
La migrazione per il sesso femminile può rappresentare una esperienza sovversiva. La racconta nella sua ricerca sulle ucraine “Migrando sole” (Franco Angeli) Francesca Alice Vianello. Comunque, nell’autorizzazione a partire c’entra la cultura, la religione e quale posto viene assegnato agli uni, alle altre.
Gli uni, i giovani uomini, sbarcano senza sapere un tubo della distinzione nostrana tra “clandestini” e “rifugiati”. Sanno però che la loro meta è la frontiera francese, il ricongiungimento famigliare. Bloccati. Un signore di Mentone, mica tanto distante dalla frontiera di Ventimiglia, ha dichiarato in tv: “Non vogliamo la miseria del mondo”. Corteo di italiani in favore dei tunisini fermi alla stazione che adesso aspettano “i permessi di soggiorno a tempo determinato” previsti dall’Europa. E pure dalla Bossi-Fini.
Intanto, dopo le giornate di cattivo tempo – settanta corpi galleggiano al largo di Tripoli – riprendono gli sbarchi. Le operazioni di evacuazione svuotano Lampedusa. Gente che arriva, gente che va. Ma non è la porta girevole del “Grand Hotel”.
Rabbiosi, rissosi, diffidenti, salgono sulle navi. Il comandante dell’Excelsior piange il suo “gioiello” devastato durante il viaggio verso Taranto: televisori buttati in acqua, tavolini divelti. Paura del rimpatrio forzato. “Telefonate ai vostri amici, chiedetegli se sono in Tunisia oppure in Puglia”.
Gli amici sono a Manduria, a Mineo. Nelle tendopoli. Enrico Rossi, il presidente della regione Toscana, sembra l’unico saggio in una gabbia di matti. Organizza gli immigrati in tante aeree perché ha capito i pericoli di concentrarli tutti insieme nelle tende, che poi se ne scappano dai buchi delle reti e via a correre per i campi, inseguiti dai poliziotti a cavallo.
Per un po’ i giovani di Oria, comune messapico vicino a Manduria, cacciano i tunisini. “Mi hanno rovinato gli aranceti; mi hanno rubato i panni” si lamentano i contadini. Però danno anche una mano, insieme al dottore, al sindaco, al volontario. Portano acqua, cibo, vestiti.
Racconta Marco Imarisio (sul “Corriere della sera”) di questi italiani solidali, pazienti, generosi. Sono pochi o molti a sentire l’obbligo verso gli altri? Certo, sono italiani migliori di come vengono rappresentati. Sembra quasi che i guasti li procuri la politica con la sua futilità irresponsabile, la lontananza dalla realtà, la voglia di lisciare il pelo all’elettorato.
La Lega invoca le maniere forti: incapace di gestire l’emergenza (che evidentemente non è destinata a finire), dice che bisogna fermare l’afflusso dei giovani uomini tunisini con il rimpatrio forzato e il blocco navale. Bossi si trincera dietro il suo: “Fora di ball”. E suggerisce: “Dobbiamo chiudere i rubinetti e svuotare la vasca”. Come a dire, se li “riprenda” la Tunisia.
E quel nuovo governo tunisino uscito dalla “rivoluzione”, che vede all’orizzonte cinquecentomila disoccupati, il crollo del turismo, gli alberghi di Gerba vuoti, l’interruzione degli scambi con il principale partner commerciale, la Libia.
Dunque, la politica produce un oltraggio evidente alla libertà di movimento dei tunisini nonché disastri ambientali a Lampedusa, Manduria, Mineo. Dall’altra parte, c’è uno sforzo di convivenza. Per quanto durerà?

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