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Ma davvero il Risorgimento è donna?

18 Marzo 2011
Pubblicato il 16 marzo 2011 su "Europa"
di Franca Fossati

Feste, convegni, mostre, seminari e libri, (quanti libri!), per ricordare, ricostruire, insegnare il valore dei 150 anni. Basta sfogliare l’inserto del Corriere della sera di domenica 13 marzo, “Italiani”, per annegare in un mare di appuntamenti. E di retorica.
C’è perfino, di Paolo Di Stefano, l’intervista immaginaria all’Italia. La signora Italia non è ben chiaro di che sesso sia, ma alla domanda sulla qualità preferita in una donna risponde con i versi dell’Ariosto: “le donne son venute in eccellenza/di ciascun’arte ove hanno posto cura”.
Ma le donne hanno davvero “posto cura” alla costruzione dell’unità nazionale?
“Risorgimento è donna” titola perentoriamente L’Espresso nel recensire il libro curato da scrittrici e giornaliste del gruppo Controparola; di “eroine invisibili” parla la ricerca di Bruna Bertolo; alla “metà dell’Unità” si ispira la mostra che oggi viene inaugurata a Pisa a Palazzo Blu; “Madri della patria” si intitola la sezione dedicata alle figure femminili della lotta risorgimentale del blog magazine GraphoMania (graphe.it).
Dai ricordi scolastici emergono a malapena i nomi di Anita Garibaldi, Cristina Belgiojoso o della contessa di Castiglione. E le altre? Un mondo di nobildonne e “popolane”, tutto da scoprire grazie agli studi delle storiche. Per riconoscere la genealogia femminile della nostra identità nazionale.
Ma non possiamo dimenticare che “il processo di nazionalizzazione pieno dell’essere italiano o italiana si completa nel fascismo”. Lo dice lo storico Alberto Mario Banti intervistato da Letizia Paolozzi (Alfabeta2; donnealtri.it ). Se il compito dello storico è “verificare la tenuta dei miti e decostruirli”, è bene ricordare –sostiene Banti- la “concezione elitistica” della politica risorgimentale. “Per i nazionalisti liberali gli individui che possono godere del diritto di voto devono essere maschi, adulti, alfabetizzati e straricchi; niente donne, niente poveri, niente ceti medi, niente stranieri”. Per i “nazionalisti democratici” l’elenco si accorcia, ma sempre niente donne, niente stranieri.
Le donne quindi erano chiamate a sostenere le azioni degli uomini, mariti, amanti, fratelli, figli. Nessun ruolo politico. Non stupisce allora che le tre scrittrici di fine ottocento, Matilde Serao, Ada Negri e Grazia Deledda raccontate da Elisabetta Rasy (nel libro “Tre passioni. Ritratti di donne nell’Italia unita”), appaiano distanti dall’esperienza risorgimentale. “Una vera e propria estraneità (indubbiamente polemica) delle donne ai modi in cui l’Italia fu concepita e realizzata” scrive Paolo Mieli nella prefazione.

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