“Je suis l’Empire à la fin de la décadence,
Qui regarde passer les grands Barbares blancs
En composant des acrostiches indolents
D’un style d’or où la langueur du soleil danse”
(P.Verlaine, Jadis et naguère, Langueur)
Cito in apertura i versi di Paul Verlaine per la carica evocativa che contengono. Vedo così la sinistra che fu e il suo languido acconciarsi allo stato delle cose. I Barbari non sono quelli di Baricco, che sfidano il futuro e mi piacciono. Sono quelli del saccheggio, che si accampano spudorati (da qualsiasi parte del mondo si muovano alla conquista) e rimangono al saccheggio. E poi chissà quanto tempo ci vorrà per rimettere insieme le cose.
Ciò che succede oggi, nella fase dei colpi di coda di una biografia politica come quella di Berlusconi, merita di essere messo sotto lente di ingrandimento, scandagliato nelle sue molteplici e dissonanti implicazioni.
Alcune donne, nei mesi scorsi, sono tornate più volte, con intelligenza critica, sulle vicende che hanno avuto al centro in questi ultimi quasi tre anni il premier e i suoi variegati e molteplici rapporti con l’accoppiata sesso/potere. Di questi rapporti hanno messo in evidenza non tanto gli aspetti dello scandalo e del gossip ma la natura politica; ne hanno analizzato la portata generale e decodificato il carattere emblematico. Molto più di un sexgate. Un’idea del mondo e l’affermazione di una pratica del potere.
Ida Dominijanni, sulle pagine del Manifesto, ha scritto molte cose esemplari. Così andava fatto e ancora va fatto. Ma la tentazione della politica è stata, da tutte le parti o con rare eccezioni, di derubricare inclinazioni e pratiche sessuali del premier alla mera dimensione personale o di enfatizzarne – come ha fatto, con ossessionante e quotidiana ostinazione, la Repubblica – soltanto il profilo scandalistico e possibilmente giudiziario. La vecchia strada, quella del fare per via giudiziaria ciò che non si riesce a fare per via della politica, ha avuto ancora una volta la meglio. Dove porti, lo abbiamo sotto gli occhi.
Lo stile di vita del premier ha ben altra valenza, ben altro ha rappresentato per il Paese. La società italiana, se assomiglia, come assomiglia, alla descrizione che ne fa Giuseppe De Rita nell’ultimo rapporto del Censis, deve questa somiglianza al dilagante berlusconismo che l’ha invasa e trasformata. La “narrazione” berlusconiana, filo conduttore della vicenda pubblica del cavaliere, fin dalla sua discesa in campo nel 1994, è un ingrediente di fondo, che ritorna continuamente ad alimentare il rapporto empatico tra il cavaliere e il suo popolo.
La potente rete mediatica al suo servizio e la sua spregiudicata capacità comunicativa hanno alimentato nel corpo profondo della società dispositivi performativi destinati a durare nel tempo e capaci di modificare il senso delle cose e il sentimento delle cose.
Quello stile, dalla “discesa in campo” nella forma di una missione dall’alto per salvare “l’amata” Italia, alla fase involutiva del suk di clientes assoldati pubblicamente per il mercimonio sessuale, è anche la metafora del Paese che Berlusconi vuole, tutt’uno con la sua idea della politica e del potere. E’ la peculiarità essenziale, la quintessenza del berlusconismo.
Il segno di quella privatizzazione della politica che ha così radicalmente modificato la fisionomia del Paese; dello sdoganamento dell’illegalità, dell’arbitrio, del godimento senza limiti di tutto quello che si riesce ad arraffare. Modello di vita. Per lui e per i suoi sodali l’accoppiata sesso/potere, ma anche per tutta la corte c’è spazio.
Lui è buono, mi ha dato 7000 euro perché ne avevo bisogno, dice Ruby, che con mossa pirata vende l’anima oltre al corpo, ritrattando per scagionarlo la sua prima versione dei fatti. Così Silvio è passato nel cuore e nella pancia del suo popolo e ha fatto scuola per tutti.
Molte giovani donne del suk di Arcore hanno fatto dichiarazioni entusiaste sulla generosità del sultano, altre lo hanno insultato e deriso. Ma le cose non sono in contrasto: stanno a indicare il disfacimento estremo delle relazioni umane, i guasti che si sono radicati nella società, la caduta di riferimenti che non siano quelli dell’immediato soddisfacimento di quello che si vuole. Costi quel che costi, si violi quel che si violi.
Se non si contrapporrà altro, corposamente altro – riferimenti, pratiche, scale di valori, discriminanti di fondo – se intorno a vicende emblematiche, come quella dei giovani senza futuro che scendono in piazza o del lavoro travolto da Marchionne e difeso dagli operai di Mirafiori, non avverrà uno scarto potente delle coscienze e della politica, se non si ritroveranno parole di pietra per ridare senso e valore a questo versante delle cose contro l’altro, un’altra idea della società, un’altra proposta e un altro modo della politica, non se ne uscirà più. Non ci sarà alternativa all’eredità di Berlusconi. E i successori saranno suoi replicanti che si nutrono di ciò che lui ha seminato.
E’ evidente, nella biografia politica di Berlusconi e nella vicenda italiana che ne è seguita, una malattia del potere. Una malattia grave e invasiva, che guasta in profondità la sfera pubblica e delegittima ogni esercizio della politica, riducendola ad affare privato. E’ qualcosa che va oltre il declino della democrazia e delle sue istituzioni, oltre il tracollo delle forme della politica, oltre l’incapacità della sinistra novecentesca di trovare nuove strade nell’ epoca dei cambiamenti globali.
Questa malattia corrode e distrugge a largo raggio, crea adattamento crescente e acquiescenza, impedisce di avere occhi e sguardo sul potere. L’opposizione a Berlusconi è l’altra faccia del problema ma è lo stesso problema.
Una malattia di cui è parte integrante anche la fine dell’ordine patriarcale, con quell’implosione dell’autorità maschile che è evidente in ogni direzione e quell’ostinazione maschile a mantenere il potere che è altrettanto evidente. Perché la sfera pubblica e la politica sono un fatto privato, un possesso personale.
Il suk al seguito di Berlusconi è un tutt’uno con lui, si fa sfruttare o lo sfrutta; si fa mettere in scena e lo mette in scena, a seconda delle reciproche convenienze. E ognuno può dire e fare quello che vuole. La misura sono soltanto i soldi.
E’ un ordine senza ordine, impazzito come una maionese. Potere e crisi del potere.
Il berlusconismo ne lascia tracce vischiose e diffuse, sedimentate nel tempo come veleni inquinanti. Malattia e crisi non significano fine o diminuzione del potere ma accresciuto rischio di involuzione.
Di questo è stata testimonianza la fatica ad emergere in questi mesi di uno sdegno civile adeguato a quello che stava succedendo. Ma anche l’afasia politica dell’opposizione, la mancanza di coraggio, l’incapacità di misurarsi con i problemi e i dilemmi della nostra epoca. Di trovare qualche risposta diversa, di restituire significato a qualche parola importante.
Il berlusconismo si è nutrito di amore, dedizione, complicità femminile. Berlusconi ha suscitato passione tra le donne. E a molte ha insegnato, col suo essere quello che è, occupando la scena pubblica, a calcolare bene le mosse per ottenere il massimo. Come lo fa lui, con spirito libertino e disprezzo del limite. Un vero maestro di vita, esempio per le nuove generazioni.
Ma non solo escort, veline e compiacenti factotum. Le istituzioni e lo spazio pubblico sono piene di una presenza femminile del centrodestra in adorazione del capo. Con le dovute eccezioni, che sono però appunto eccezioni.
Sono donne di “questa” epoca, non un retaggio del passato. Come d’altra parte lui è espressione di questa epoca, non un retaggio del passato.
Può sembrare strano ( ma è assai meno strano di quanto possa apparire) che sulla scena pubblica in questi anni si sia manifestata una presenza femminile del centrodestra articolata e a vasto raggio.
Donne di ogni tipo, quasi tutte grintose, spesso giovani e multifunzionali. Signore in carriera politica, escort e veline, donne in passaggio da una funzione all’altra, ministre della Repubblica e portavoce politiche hanno riempito cronache, palazzi, scene mediatiche, talk show e quello che volete, in un avvicendarsi di gossip, eventi, sceneggiate che sono state grande parte della più generale vicenda della lunga e incompiuta transizione italiana.
Donne che hanno segnato questa fase storica non dal lato in penombra delle stanze private o dei ridotti domestici ma dal centro dei palazzi grazioli e chigi, ville di arcore e dintorni, senato della repubblica e camera dei deputati, ministeri e altro ancora. In un vortice del personale che è diventato politico, del privato e del pubblico che si sono attorcigliati in un’ inestricabile disordine, e in perfetta sincronia con le identiche connessioni sentimentali del capo.
Sono donne da e in prima linea, bisogna dire, che non si sono fatte intimorire dal contesto, neanche quando sono cominciati a venire alla superficie gli aspetti più imbarazzanti della loro parte. Al contrario. L’esplosione della crisi della maggioranza, con la rottura operata dai finiani, nell’infinita sceneggiata mediatica che ne è seguita, ha visto “scendere in campo” dai ranghi della maggioranza una pattuglia di donne con cariche istituzionali che sono andate per talk show di ogni tipo ad annunciare la buona novella: “Berlusconi per fortuna c’è ancora” e “il governo è in sella e tutto gira secondo il programma”.
Politiche meglio dei politici, donne dalla parlantina facile, che leggono i dossier e si documentano, che navigano a vista senza farsi intimidire nel confronto con gli esponenti del centrosinistra, che riescono a sfuggire al politichese di maniera e guardano negli occhi, oltre lo schermo, i loro riferimenti elettorali, che si danno un da fare da matte per sostenere, con grinta e determinazione, la loro parte.
Sono il contraltare o forse l’interfaccia dell’altro versante femminile entrato rumorosamente sulla scena pubblica al seguito del berlusconismo: quello delle escort, veline, accompagnatrici in funzioni molteplici e con molteplici possibilità di carriera. Talvolta, come le cronache impietose raccontano, sono le stesse che passano da un luogo all’altro.
Le une e le altre sono frutto dello stesso fenomeno. Le due cose stanno insieme e reciprocamente si alimentano.
Donne affascinate dalla destra e cui la destra ha offerto spazi molteplici, disordinati, contraddittori e spiazzanti. Donne la cui irruente presenza non è solo il frutto di uno spregiudicato spirito femminile d’avventura tipico di questa fase, né soltanto del contesto che il berlusconismo ha offerto a chi volesse tentare l’avventura. Ma è invece il segno dei cambiamenti più generali che sono avvenuti nel Paese e nel mondo, nell’intreccio di aspetti diversi e di acute contraddizioni di cui la modernizzazione si è nutrita; frutto in particolare del cambiamento di ottica che le lotte delle donne e il femminismo hanno impresso ma anche della torsione di senso che quel cambiamento o quei cambiamenti hanno via via subito, perché così succede nella vicenda umana, nell’assenza, nella dimenticanza, nella caduta delle continuità e della memoria. O quello che volete voi.
Per esempio l’inefficace o inesistente rapporto che la sinistra è riuscita a instaurare con il femminismo e con le donne. E le donne con la sinistra. O la sinistra che si è liquefatta e le donne non avevano nulla da dire. O da proporre, fare, imporre.
Salta agli occhi in tutta questa turbinosa vicenda di donne uomini sesso soldi e potere – politica del desiderio senza regola dell’epoca berlusconiana – la riproposizione di uno sdoppiamento dei ruoli politici tra maschi e femmine, e di una funzionalità tipicamente femminile nel ruolo che le donne di Berlusconi hanno assunto nell’agone politico.
Maschi nel ring della competizione a oltranza con gli altri maschi, che pensano le strategie, tengono insieme i meccanismi atti a stabilire la tenuta del potere, le alleanze, le reti, i dispositivi del comando. Femmine in campo con grinta ma con attitudine di servizio, di tutela dell’immagine del capo, attente per lo più a ricucire i fili dello strappo, rimarginare l’offesa, trasmettere fiducia. Tutto va bene, il governo va avanti, non c’è da temere nulla.
Presenza insomma, quella femminile, visibile ma variamente articolata nella infinita gamma delle prestazioni e dell’offerta di una rinnovata disponibilità e attitudine femminile della “cura”, del prendersi cura, dello stare al lato della scena o anche al centro, ma con funzione che è costitutivamente di seconda o terza fila.
Anche nel centrosinistra le cose non sono poi molto diverse e le severe signore delle istituzioni di questa parte hanno perso qualsiasi forza politica, pressoché scomparse o funzionanti anche loro come supporto, servizio, tutela della parte maschile.
Che cos’è che non funziona o non ha mai funzionato nei rapporti politici tra donne e uomini?
La politica maschile soffre di una crisi di obsolescenza che appare irreversibile.
E quella delle donne? La prima trascina l’altra. O l’altra non ha modificato la prima. E oggi non c’è nulla che si possa fare?
Siamo a questo punto e dobbiamo saperlo quando affrontiamo problemi di regolazione dei rapporti tra donne e uomini nel campo della politica.
Possiamo dire che, a fronte di una crescente femminilizzazione dello spazio pubblico perdura la debolezza del ruolo politico delle donne. Possiamo dire che il mondo è nelle mani delle donne (nella cura delle donne), il potere ancora nelle mani degli uomini.
Se i problemi sono, sinteticamente e soltanto in apparenza paradossalmente questi, come io penso, va detto subito, per non creare falsi dibattiti, che il doppio incarico sessuato, che anche io propongo, non è “la” soluzione una volta per tutte né, soprattutto, che il problema debba essere considerato fondamentalmente e prioritariamente dal punto di vista della quantità delle presenze femminili ai vertici politico-istituzionali, di qualsiasi livello, della società e negli snodi del potere.
In un ordine del giorno che abbiamo presentato (Fulvia Bandoli, Maria Luisa Boccia Bia Sarasini e la sottoscritta) alla prima Assemblea Nazionale di Sel (Sinistra Ecologia e Libertà) c’è l’invito a riconoscere che le donne valgono per quello che valgono, e non in quanto donne da aggiungere alla minestra, e l’impegno di Sel deve essere di costruire la politica a tutti i livelli a partire da questo riconoscimento.
Una svolta nella politica, non una quota o un “più una” apicale.
Ma la quantità torna ad essere un aspetto del problema e i limiti posti al potere di chi ne ha di più è sempre un bene, crea spazio, movimento, circolazione di idee ed di esperienze diverse. Gli uomini sono in crisi ma hanno ancora molto più potere nella vita politica e in generale pubblica e tendono a riprodurre i meccanismi di accentramento maschile, di complicità tra maschi, di sovra determinazione dei maschi.
Insomma un armamentario di antropologia umana maschile che conosciamo, che non aiuta la rinascita della politica, che ostacola qualsiasi reale innovazione mentre debolezza, complicità, reticenza, che tarpano spesso le ali al desiderio di politica delle donne, vengono utilizzati dagli uomini per avere tutto nelle loro mani. Anche le donne.
Il non tener conto di tutto questo può alimentare il consolidarsi del silenzio e l’ adattamento politico-psicologico, con la conseguente rinuncia a scavare più a fondo in corpore vili, come invece oggi sarebbe quanto mai necessario. In corpore vili, cioè nelle relazioni tra i sessi, nell’epoca del post patriarcato, ancora così opache, ambigue e indecifrabili nel fondo, così poco tenute nel conto dovuto per e dalla la politica e ancora reiette come materia di riflessione e del tutto ignorate come punto di ripartenza di una politica di sinistra.
Per questo serve innovare le regole, inventarne alcune che abbiano semplicemente lo scopo di vedere come vanno le cose, di promuovere esperienze, sapendo noi che nulla è risolutivo in questo campo e in questo tempo. E serve una politica che scombini le tradizionali filiere dei pensieri politici, delle pratiche, del senso delle cose. Scombinare e ricombinare i rapporti tra uomini e donne a partire dall’importanza che diamo alle cose, da pratiche e esperienze diverse, può servire molto più delle chiacchiere sulle novità e le innovazioni.
La politica, mai come oggi, ha bisogno di uscire dalle strettoie del ripiegamento narcisistico della politica maschile e dal maschile in crisi, di mettere a confronto energie e passioni, spiazzamenti dell’esistenza. Insomma tutto ciò che può di nuovo alimentare la politica del cambiamento.
Dall’esperienza delle donne, rivisitata in chiave politica e non funzionale, può venire molto: un’altra idea della politica con cui scalzare quella del potere che ancora domina?
Vale forse la pena di discuterne.