Alla lettera di Franca Chiaromonte e Letizia Paolozzi, aggiungo una riflessione: a uscire devastata dal cosiddetto Rubygate è più l’immagine maschile che l’immagine femminile.
Ragazze che si vendono, e fa rabbia; ma soprattutto uomini che solo grazie al denaro e al potere dispongono del loro corpo (o magari solo della loro attenzione) e le gratificano con regali comprati all’ingrosso.
Eppure, mentre noi ci preoccupiamo della dignità femminile, nessun uomo ha sentito il bisogno di difendere quella del genere maschile. Certo, il modello Berlusconi è così povero e simbolicamente violento che per un uomo di buona volontà può essere difficile vederlo come una ferita inferta (anche) alla propria identità.
Ma, cari, quel modello gira per il mondo, e vi rappresenta. Mi chiedo come mai la vergogna provata da tanti di voi riguarda l’essere italiani, e non l’essere uomini italiani.
Vi sentite incolpevoli? ma allora dovreste sentirvi così anche come italiani. Berlusconi vi sembra un alieno? forse, ma non cambia il fatto che appartenete allo stesso sesso.
Alcuni uomini hanno capito da gran tempo che non aver mai commesso stupro non basta a chiamarsi fuori da un mondo maschile in cui la violenza contro le donne si ripete ogni giorno.
Uno sforzo, e potreste capire che neppure dallo svilimento delle donne è possiile chiamarsi fuori, che c’è una responsabilità sovraindividuale – beninteso, non come ipotetica colpa general/generica o dannazione originaria, ma nel senso in cui la intende Amery: come somma delle azioni e omissioni che hanno contribuito a fare (o a lasciar sopravvivere) un clima.
In questo caso, il clima in cui le parole delle donne spesso non sono richieste, e se sì, si ascoltano con l’orecchio sinistro, in cui i vertici di qualsiasi realtà sono clan maschili, in cui pochissimi e pochissime possono invecchiare in pace senza sognare/temere/detestare la bellezza e la giovinezza.