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relazioni politiche, dal quartiere al mondo

La forza perversa del Cavaliere

15 Dicembre 2010
di Alberto Leiss

E così Berlusconi ce l’ha fatta ancora una volta. Forse per poco. Forse tra mille problemi che non riuscirà a risolvere. Comunque ha dato ancora un segno della propria forza. Una forza fatta di potere, denaro, seduzione.
Una forza “perversa” – proprio nel senso letterale della parola – stando all’analisi dello psicanalista Massimo Recalcati, apparsa qualche giorno fa sul “manifesto”: “Con questo termine – ha scritto – non ci si riferisce a quanto avviene sotto le lenzuola, ma all’attitudine a subordinare ogni cosa (la verità, i legami sociali, gli affetti più intimi, gli interessi generali di una comunità) al proprio godimento personale, vissuto come un imperativo incoercibile”.
Quella di Recalcati sul “manifesto” è una puntata di un dibattito molto interessante cresciuto sul quotidiano ancora comunista dopo il commento di Ida Dominijanni alla recente analisi del Censis, con il giudizio di Giuseppe De Rita: l’Italia è una società infelice e sregolata, perché ha perso – psicosociologicamente parlando – sia la “legge” sia il “desiderio”, appiattendosi sulla dimensione consumistica del godimento immediato, peraltro oggi messo per molti in discussione dalla crisi. Altri interventi sono venuti dallo stesso De Rita, di nuovo da Dominijanni, e da altri.
Qui – alla breve – mi limito a segnalare il fatto che una interpretazione utile e radicale della vicenda politica italiana deve ormai – e finalmente – fare ricorso ai concetti di inconscio e di simbolico. Consiglio di andarsi a leggere gli articoli citati – si può fare agevolmente cliccando su Google, anche se mi sono accorto con dispiacere che sul sito del “manifesto” bisogna pagare qualcosa anche per consultare articoli in archivio: ma probabilmente è giusto per sostenere il giornale – dai quali cito ancora solo una affermazione dell’ultimo di Dominijanni.
Non si sfugge all’impressione – scrive – “di essere di fronte a una sorta di bizzarra divisione del lavoro: che cioè a una destra che occupa il campo del desiderio svuotandolo della sua forza creativa e riducendolo a godimento mortifero, si contrapponga una sinistra che occupa il campo della Legge svuotandola della sua forza simbolica e riducendola a puro richiamo normativo. Godimento senza legge da una parte, norma senza desiderio dall’altra; illegalità come programma da una parte, legalità come parola d’ordine dall’altra: il gioco politico pare inchiodato precisamente su questo nodo. E non pare promettere a breve un cambio d’egemonia: finché la sinistra contrappone solo un ideale normativo a una destra che elargisce godimento a buon mercato, e finché tenta di riportare al dover essere della legge un Capo che gode e fa godere della sua trasgressione, si sa come va a finire la partita”.
Dunque non c’è speranza di vincere la forza perversa del Cavaliere e del berlusconismo?
Forse sì, ma solo se la politica – e anche lo sguardo di chi fa ricerca, analisi, informazione – saprà rivolgersi a quel pensiero e a quelle pratiche inventate negli ultimi decenni dalle donne e dal femminismo e che hanno più cercato una elaborazione e traduzione politica del desiderio.
Anche alcuni uomini cominciano a avvertire la necessità di questo scarto dello sguardo per venire a capo del presente, non solo italico. E non da ora, per la verità. Se il dibattito post-censis ha riportato alla ribalta una discussione sulla nozione di “desiderio”, sul ’68 e sull’immagine lacaniana della “evaporazione del padre” – o per dirla con Dominijanni – della “crisi del patriarcato”, sarà una coincidenza significativa che Lea Meandri – sull’ultimo numero di Alfabeta2 – ricordi le idee e le analisi politiche di Elvio Fachinelli sul ’68 e su quello che è venuto dopo, indicando una strada alternativa per la sinistra, che è rimasta inascoltata.
Adelphi ha ripubblicato quest’anno gli scritti di Fachinelli raccolti con il titolo “Il bambino dalle uova d’oro”, che risalgono agli anni ’60 e ‘70: è l’occasione buona per riandare a vedere che cosa si poteva intendere per “desiderio dissidente” in quella stagione politica, che aleggia ancora tra noi come come uno spettro cocciuto.

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