Eugenio Scalfari l’ha scritto chiaro e tondo: Gianfranco Fini avrebbe dovuto operare una separazione netta dalla famiglia Tulliani (Repubblica, 26 settembre). Compresa, sembra evidente, Elisabetta, sua compagna e madre delle sue figlie. Gli ha fatto eco, sull’Unità (26 settembre) Concita De Gregorio: come mai un uomo che ha portato il Msi in An e che ha l’ambizione di portare An “nel posto lasciato inconsolabilmente vuoto dalla DC” non è in grado di “dire a uno pseudo cognato nullafacente di togliersi dai piedi”?
Sul Web sono in tanti a scriverlo: è tutta colpa di una “figa che scotta”, di “una love story di troppo” (tanta eleganza è sul sito corsera.it, che non è, si badi, quello del Corriere della sera). Fini, “pur di godere dell’affetto e delle arti muliebri di Elisabetta Tulliani non si è preoccupato di tutelare la propria integrità dalla spregiudicatezza con cui la famiglia Tulliani ha usato il suo nome e il suo potere politico per coltivare affari e aggiudicarsi contratti” (davidemaggio.it).
C’è una sorta di unanimità nel considerare Fini vittima dei suoi sentimenti e delle sue pulsioni erotiche. “L’amore a volte gioca brutti scherzi” dice l’ex An Laboccetta (Corriere della sera, 28 settembre). Il Presidente della Camera sarebbe un ingenuo, turlupinato da una femmina insaziabile: ecco un’immagine in cui molti uomini si riconoscono. Secondo Scalfari “la responsabilità istituzionale avrebbe dovuto far premio su ogni altra considerazione anche a costo di mettere in gioco un assetto privato molto delicato”. Nessuno ha dubbi: tra serenità familiare e ruolo istituzionale la scelta avrebbe dovuto essere scontata. Doveva prevalere il ruolo pubblico.
A nessuno, neanche a Fini finora, è venuta in mente un’altra possibilità. Cioè perdonare, per amore, gli errori di Elisabetta, la sua complicità con familiari scomodi ed esosi, e rinunciare al ruolo istituzionale e di potere per non incrinare il difficile equilibrio della propria vita affettiva.
Scalfari ha ragione: l’autonomia della politica impone dei doveri. Anche l’autonomia dei sentimenti dovrebbe. E poiché il privato non è così politico come si credeva tempo fa, è bene distinguere i due piani. Ma sarebbe meno nobile sacrificare il secondo per il primo? Questa però è, probabilmente, solo una romantica ipotesi di scuola. Sta di fatto che, finora, Gianfranco Fini sembra non voler scegliere, “dando prova di una tenuta familiare supersonica” (Annalena, Il Foglio, 28 settembre). Cerca di tenere tutto. E rischia di perdere tutto.