Locale / Globale

relazioni politiche, dal quartiere al mondo

Un anno di Papigate, una storia italiana

30 Aprile 2010
Pubblicato su Leggendaria, che verrà presentata al Caffè Letterario, via Ostiense 95, Roma martedì 4 maggio alle 18 con Letizia Paolozzi e Lidia Ravera. Sono presenti Monica Luongo, Bia Sarasini, Ida Dominijanni, Mariella Gramaglia, Annamaria Crispino
di Bia Sarasini

Il tragico è non vedere la fine della storia. (Scrivo prima delle elezioni regionali che qualche direzione potrebbero indicare, chissà). Dico, un anno di rivelazioni continue. Dal grazioso pendente di diamanti regalato a Noemi per i suoi diciotto anni da Papi, il presidente del consiglio, ai festini di Villa Certosa e Palazzo Grazioli, affollati di escort e ragazze-immagine che si fotografano in bagno o registrano i loro incontri come Patrizia D’Addario, le stesse a cui vengono offerte candidature a non importa quale elezione. Le trans Brenda – poi trovata misteriosamente morta – e Natalie e i carabinieri che ricattano il presidente della Regione Lazio Piero Marrazzo, così sciaguratamente irresponsabile. Le escort di Giampaolo Tarantini che tra gli altri fornisce di donne, soldi, vestiti, scarpe l’allora vice-presidente della Puglia Aldo Frisullo, l’indimenticabile Salaria Sport e le ripassate dell’eroe italiano Guido Bertolaso, bancomat e viaggi all’estero con l’amante del sindaco di Bologna Flavio Delbono, per non parlare dell’infame che rideva nel letto la notte del terremoto a L’Aquila, i seminaristi vaticani del presidente del consiglio superiore dei Lavori Pubblici Angelo Balducci e le 350 ragazze da lui gestite con la cricca degli appalti di Firenze. La gelatina melmosa che in un anno si è rivelata e riversata sugli italiani è pervasiva, le storie degli appalti si confondono con le ultime intercettazioni del premier che comanda di chiudere le trasmissioni Rai che hanno il torto di ostinarsi ad approfondire queste vicende. Eppure, nella diversità dei singoli fatti, sesso, denaro e potere sembrano rimanere un caposaldo sicuro di questa storia italiana. Il rischio è che il cumulo provochi un collasso emotivo e logico, nonché politico. Un rifiuto totale, l’esigenza di finire ad ogni costo, una paradossale resa alla prepotenza. Eppure, guardata nel suo insieme, la vicenda non è solo un caotico ammassarsi di particolari indecenti. Appare un disegno, che suggerisce qualche bilancio.

1. In primo piano emerge il dramma politico dell’Italia: l’assenza di un’opposizione consistente. La battaglia contro gli assetti di potere dominanti nel nostro paese, perchè di questo si tratta, è condotta da media: il gruppo EspressoRepubblica, Il fatto, quotidiani e alcune trasmissioni tv che infatti sono state chiuse, anche editori quindi. Si rivolge più a un pubblico che ad attivisti. Nonostante le mobilitazioni attraverso internet, l’altra protagonista autonoma e per certi aspetti imprevedibile, l’atteggiamento rimane perlopiù passivo, da pubblico che assiste. Un pubblico che forse firma gli appelli, ma che non assume in prima persona la necessità di cambiare. Per stanchezza, esaurimento di speranze e di risorse, o per estraneità, come accade ai più giovani. La guerra in corso rischia allora di apparire un conflitto di singoli (o gruppi di) interessi contrapposti, compresa e forse in prima linea la grande azienda della criminalità. Difficile capire che riguarda la propria vita, difficile vedere, proprio a causa di questi assetti di potere, che non si può delegare a nessuno la battaglia per la qualità del proprio lavoro – operaio, precario, autonomo, clandestino –, in generale della propria vita.

2. Si tratta, come ormai si dice, di racconti, di voci, insomma di mentalità e cultura. Ne ho individuati un paio. In primo luogo il dispiegarsi del sesso, o meglio, del desiderio maschile nudo e crudo, così come è, senza trucchi e infingimenti, quando si fonda e si esalta del potere. Per questo è importante indicare carica, ruolo – potere appunto –, degli uomini coinvolti. Non è un bel vedere. Non lo è per nessuno, compresi gli uomini che si rifiutano alle pratiche del potere. Anche se da tempo non si crede al principe azzurro. Anche per le ragazze, le donne, che giocano al gioco delle dure che stanno nel sesso senza confonderlo con l’amore, non è una visione facile da sostenere. Rimanda senza mediazioni al dominio maschile sulle donne. Non è bello constatare in tutta evidenza il persistere della prostituzione all’epoca della libertà sessuale femminile, tempi in cui le donne non sono fortezze inespugnabili, non tengono stretto il loro tesoro, non più come in passato prezioso e necessario bene di scambio per conquistare l’agognato matrimonio, obiettivo e risorsa di una vita. Non è semplice da dipanare la relazione tra prostituzione e libertà femminile, più in generale tra donne perbene e donne permale. È un tema che provoca reticenze, ribellioni, incomprensioni, soprattutto perché si pensava che le differenze, tra perbene e permale, non avessero più senso, addirittura che fossero sparite. Il che è vero, ma solo sotto alcuni aspetti
L’altro racconto ha in verità la forma del tormentone, il richiamo ossessivo al silenzio delle donne che non avrebbero parole, “un silenzio che ammorba l’aria”, ha scritto Nadia Urbinati in un “fondo” di Repubblica. Mi ha colpito, questa ostinata volontà di attribuire responsabilità alle donne, a mio parere senza ascoltare sul serio quanto le donne dicono. Curioso è che le prime a non ascoltarsi sono le donne. Forse per questo si produce l’effetto “silenzio delle donne”. Se l’autorevole studiosa e opinionista che scrive su uno dei due più importanti quotidiani italiani, dice che le donne tacciono, non è evidente che toglie voce e autorità anche a sé stessa?

3. È strano dimenticare che le uniche parole che danno un senso a queste vicende, sono venute da donne (mi riferisco a donne coinvolte in prima persona nei fatti, non ai commenti). È la politologa Sofia Ventura che prima del Papi-gate in un convegno della fondazione FareFuturo, vicina al presidente della camera Gianfranco Fini, denuncia le improprie carriere politiche che portano le veline nei banchi delle pubbliche assemblee, il segnale di inizio della storia. È Veronica Lario, la moglie di Silvio Berlusconi, che propone una lucida analisi –politica –del “ciarpame senza pudore” che si offre all’imperatore. È Patrizia D’Addario che dice senza paura che il premier non poteva ignorare che lei era lì con lui per mestiere, non per amore. È Cinzia Cracchi che nel rispondere alle domande dei magistrati ha svelato l’uso forse ingenuo ma certo arrogante del potere da parte dell’uomo che l’ha voluta vicino a sé anche nel lavoro. Si è discusso a lungo, in questi mesi, se fidarsi o meno di queste donne. Se attribuire loro un ruolo significativo. A me sembra una questione malposta. Il racconto che ascolto mi parla di donne che senza essere intellettuali, militanti, professioniste della critica e/o della politica –a parte naturalmente Sofia Ventura – hanno compiuto scelte di rottura, significative per tutte e tutti. Naturalmente ognuna è una singola individua, con la propria personale storia, comprese eventuali viltà, opportunismi, acquiescenze. Che vengono loro imputati con particolare accanimento, pur di non vedere il senso delle loro parole e dei loro gesti. Che in parole semplici, segnano una rottura della complicità. Di una donna, una singola donna, con un uomo. E mostrano che si può, si può farlo. Mostrano che gli uomini, la loro sessualità, la vivono male, perlopiù nell’arroganza e dismisura, anche quando sono di sinistra. E forse è questo è il punto delicato? Si può attaccare il premier, ma detestare a tal punto la moglie da non essere in grado di accogliere il suo gesto di rottura? E soprattutto: è duro accettare quello che è sotto gli occhi? Che gli uomini di sinistra, anche loro, del cambiamento femminile ignorano tutto? Che dopo l’onda d’urto del femminismo hanno continuato più o meno come prima? Anzi, con il vantaggio della libertà sessuale femminile?

4. Non che non si capisca il sentimento prevalente. Un gran fastidio, il non volerne sapere, un insistito risentimento . Non è agevole maneggiare la consapevolezza che molti degli uomini che si conoscono sono – alla lettera – puttanieri, cioè frequentatori di prostitute. Il rapporto tra autonomia femminile e prostituzione, come scriveva quindici anni fa Roberta Tatafiore in un libro anticipatore e poco capito, Sesso al lavoro, è di difficile comprensione e soluzione. Non è semplice accettare che il cambiamento passi attraverso figure poco nobili – lo dico senza giudizio verso le persone – del tradizionale racconto femminile: la moglie opportunista, l’amante favorita, la puttana. Figure, andrebbe ricordato, così raccontate –anche attivamente interpretate, naturalmente –dentro l’apparentemente più grande scena del patriarcato. Ci vorrebbe la curiosità di guardare come diventano figure attive di una nuova – e imprevedibile – contro-narrazione femminile.

5. Molti sono gli elementi del racconto. L’indignazione per l’uso del corpo femminile, per esempio. Forse è vero che per anni è stato vissuto nell’assuefazione e nel silenzio, per stanchezza, per difesa, per passività inconsapevole di fronte all’intimidazione culturale dominante. Il punto è che ora ha trovato di nuovo voci e storie per raccontarsi.
Io vorrei mettere a fuoco la scarsa, quasi nulla consapevolezza del fatto che donne e uomini oggi condividono lo spazio pubblico. Non sono giornali, media, insomma i luoghi del cosiddetto gossip ad abolire la linea di confine tra privato e pubblico, come tutti ripetono ossessivamente. È che non ci sono più sfere separate. Anche la moglie – dell’impiegato, non del premier- non vive più nell’ombra, ha una sua vita totalmente pubblica. Così l’amante, per non dire della prostituta, a meno che non sia una schiava asservita dalla malavita. Un trauma speciale in un paese come l’Italia che non ha la tradizione comunitaria dei paesi anglosassoni. Gli uomini non hanno capito che le loro relazioni con le donne non seguono le regole del passato. Non c’è – non c’è più – un mondo a parte nel quale possono scorazzare liberi, sicuri che tuttalpiù incontreranno lamenti, insulti senza peso, perché provenienti da un soggetto per definizione escluso, senza parola nello spazio pubblico. Ora anche la parola di una donna abbandonata, umiliata – una figura tra il patetico e il ridicolo, solo a volte nobilitata nel tragico, secondo il racconto della tradizione – ha il suo corso nello spazio pubblico. Con conseguenze reali. Sono conflitti e slittamenti propri della fine del patriarcato. È tempo di prenderne atto. È necessario per gli uomini, di sicuro per le donne.

Featuring Recent Posts WordPress Widget development by YD