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La mia vita è la mia politica

23 Ottobre 2009
di Rosetta Stella

“La mia vita è la mia politica” scriveva Roberta Tatafiore, nel suo diario agli inizi degli anni ’80.
E’ una cosa che un’intera generazione allora, poteva ripetere per sé, con le stesse parole. I giovani degli anni ’70, così belli! e così giovani!…Quelli della rivoluzione culturale, dell’immaginazione al potere, della rivoluzione sessuale. Quelli che: lo Stato s’abbatte e non si cambia, delle riunioni fumogene e infinite, delle albe davanti alle fabbriche a volantinare e dei cortei colorati contro il grigio piombo della repressione. Quelli che:le donne si separano ahinoi! E quelle che: donna è bello, accidenti quanto è bello!
Insomma la generazione che, per essere concreta, voleva la luna.
Sembrava davvero il “sol dell’avvenire” . Era invece l’attimo di luce abbagliante dei tramonti d’estate che dopo: ogni colore è spento.
Oggi, nell’agosto 2009, l’editore Voland pubblica un libro di Lia Migale dal titolo: “La donna del diavolo”, un bel libro che invito a leggere per trovare aiuto a tentare un bilancio.
Si tratta di un romanzo che sembra un giallo ma che poi non lo è. Però ci sono enigmi, delitti e un commissario che indaga e che si chiama Devila. Ci sono donne e uomini adulti e ormai risolti che sono stati giovani del ’68 e dei mitici ’70. C’è una Roma affascinante e sonnacchiosa e il tutto si svolge mentre corre l’anno 1989.
La protagonista ha quarant’anni o giù di lì, si chiama Antea come la donna del Parmigianino, e non c’è perché è sparita. Da un momento all’altro, senza segnali di premonizione, come d’incanto, scompare in un giorno d’estate. Il commissario è chiamato ad indagare e indaga infatti, a partire dalla vita di lei, dai suoi amici e amiche (soprattutto amiche) e dal suo passato. Scopre che, in esso, c’è stata la politica, quella fuori delle istituzioni, e il femminismo. Scopre che è stata molto “amata”, che è molto considerata da chi l’ha frequentata, che ha un carattere generoso, solare, disponibile e gentile.
Ma scopre soprattutto che è sola, solissima, pur essendo circondata da una varietà molto numerosa di persone, tutte con interessi e amori e “sogni” mancati, tutte, bene o male , abbastanza riconciliate con la concretezza delle proprie piccole ambizioni personali; si conoscono tutte tra loro e si frequentano spesso in cene e weekend nelle varie dimore di campagna o del mare. Tutti amavano Antea perché, con ciascuno e con ciascuna, lei aveva il suo particolare modo di starci assieme: lei credeva nei rapporti, anzi, per come pare al commissario, sembra proprio che la cura dei rapporti fosse il capolavoro più grande della sua esistenza. Infatti non c’è nient’altro nella sua vita che appaia tale da fornirle un’altra e consistente qualsivoglia identità sociale. Insomma è il frutto umano a tutto tondo di quei sogni d’un mondo diverso, non dominato dall’economia stretta del commercio fra carriere.
Una bella persona a cui nessuno può volere male. E allora perché è sparita? Dove è finita?
E’ ovvio che non posso qui rivelare il finale come si fa con un thiller che si rispetti. Posso solo dire che sarà sorprendente.
L’autrice, una femminista d.o.c. e di lunga data, disegna i personaggi con un tono noir e malinconico. Antea e la sua “inspiegabile”sparizione, sono uno specchio davanti al quale si produce, volenti o nolenti, una sorta di presa di coscienza. Frammentaria e spesso reticente, ma pur sempre un fare i conti con la verità.
Ci dice almeno due cose interessanti: una che il noir è il colore di questo contemporaneo, sia esso fine o principio di millenni. E che lo sguardo femminista aiuta sì a decriptarlo nel senso giusto, ma forse non a fargli cambiare tonalità, l’altra è che l’energia di questa scoperta ci conduce a scoprire il senso senza attenuanti di ciò che si è perduto. Con una domanda: si è perduto per sempre oppure il sentirlo mancante apre altre prospettive?
Certo sparire è un modo come un altro per smuovere le acque di un tra tran in cui i guadagni sembrano acquisiti nel codice genetico di una generazione, e le sconfitte possono essere dimenticate senza rimpianti. Ma la violenza delle responsabilità, quella no! Quella deve restare sempre sotto gli occhi perché si possa raccontare una Storia degna di essere ascoltata, a chi è costretto ad ereditarne gli esiti.

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