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Lo sguardo diverso di Roberta

30 Settembre 2009
Dopo la giornata in ricordo di Roberta Tatafiore
di Marina D'Amelia

Il filo dei miei rapporti con Roberta è stato lungo, risale agli anni Settanta e alle riunioni di Donne e cultura in casa di Michi Staderini ed è poi proseguito in seguito negli anni di pubblicazione della rivista Memoria. Il filo si è più volte interrotto, per lunghi intervalli di tempo non ci sentivamo nè ci vedevamo. Per le inevitabili divaricazioni dell’esistenza. Il nostro ritrovarci era sempre affettuoso e ricolmo di sorprese, almeno per me. Nelle vicissitudini oppure nelle tante virate che hanno contrassegnato la sua vita, Roberta mi sorprendeva e ho sempre pensato che non invecchiava male, pronta come era a rifuggire da tutto quello che poteva somigliare ad una adunata di ex e di reduci di qualche cosa.
A differenza di altre a me piacevano il suo voler “cambiare aria” ( il termine è suo), lo spingersi oltre gli asfittici orizzonti delle ortodossie femministe , quel mischiarsi a personaggi screditati delle patrie scienze, chiacchierati oppure politicamente all’indice, la sua sfrontatezza nel cambiare bandiera.
Per molto tempo, questo filo si è nutrito di discussioni e scambi intellettuali. Solo di recente, in questi ultimi anni, abbiamo condiviso momenti di quotidianità dopo quelli, oramai lontanissimi nel ricordo, passati nelle case di Michi: tranquilli week- end in campagna, un agosto a Berlino nel quale Roberta è stata una guida entusista in angoli inediti, a cominciare dal Museo dell’omosessualità, e una vacanza al mare a Ponza. Quest’ultima meno congeniale perchè Roberta appariva impaziente e insofferente per tutto quello che ha a che fare con la distensione e il riposo o forse più semplicemente non amante del sole e delle corveè in barca che le imponevano. Di questi ultimi anni è anche il ricordo per me insolito di una casalinghitudine di Roberta nella casa all’Esquilino, dove era approdata dopo tanti travagli e allestiva compiaciuta con le sue mani cene per gli amici.
Era già una Roberta impaziente e inquieta la ragazza che approdava alla redazione di Memoria. Gli scritti di Roberta compaiono su tre numeri importanti della rivista: quello dedicato nel 1986 alla Prostituzione, nel quale Roberta paladina dei diritti delle prostitute ripercorre il mancato incontro tra femministe e prostitute, quello del 1989 dedicato a Sesso Differenze e Simbiosi, in cui discute in un “Un brutto sogno” i primi effetti dell’informazioni intorno all’Aids e quello infine Infanzie in cui lei e molte di noi ripercorrevano la stagione dell’infanzia.
Avrei voluta coinvolgerla di più ma non era nelle sue corde il modo in cui noi lavoravamo e gli approfondimenti che le chiedevamo. Mentre noi ci prendevamo molto sul serio e soppesavamo bibliografie e interpretazioni, lei divorava le sue intuizioni con grande velocità e aveva un bisogno narrativo di scontrarsi con fatti e figure contemporanee, commentare e prendere posizione come viatico alla scrittura. Anni dopo, riflettendo insieme su Memoria, su quella fase del femminismo e sui diversi destini, sulle percezioni e autopercezioni delle acccademiche e delle non accademiche ( secondo il linguaggio del tempo), ho scoperto che provava nostalgia per una stagione di interessi, di discussioni, persino per un’ atmosfera, gratuiti e senza tempo che allora irrideva e riteneva la chiusura di Memoria un esempio delle tante dissennatezze di cui ha dato prova la nostra generazione.

Comunque all’epoca aveva ragione lei a transitare impaziente e frettolosa dalla redazione di Memoria e a sottrarsi ai nostri dictat. Roberta è stata una giornalista per passione e come i veri giornalisti partiva dagli odori e dagli umori della città, dalle storie segrete e stravaganti e dalle tensioni sotterranee che vi si sprigionano, alla ricerca dalle tante esistenze infelici e anonime che si trascinano. Una delle sue virate biografiche più eclatanti, quella dalla passione per le donne alla aperta parzialità per gli uomini – assurti da un po’ di anni ad eroi senza qualità, vittime e bersagli di onnipotenze femminili- , credo nascesse anche da questa sua capacità di mettersi in sintonia con la realtà più vasta delle vite collettive, della ‘gente normale’ come preferiscono dire tutti quelli che sono impossibilitati ad esserlo. Free lancer di istinto, Roberta lo è stata anche di necessità per lunghi periodi. Con pudore nascondeva dietro un certo titanismo, la tanta sbandierata capacità di riinventarsi o assumere nuova pelle, smarrimento, angoscia, mancanza di prospettive.
Non era sempre facile con Roberta capire con chi si aveva a che fare. Decriptare i tanti io nascosti e segreti della sua anima. Ho sempre pensato che l’interesse per il sesso commerciale che ha accompagnato una fase molto lunga della sua vita rappresentasse una forma proiettiva come accade in molte ossessioni intellettuali. Oggi mi chiedo se non si trattasse di uno tra tanti abbaglianti trompe-l’oeil con cui Roberta mascherava le sue ambivalenze.
Roberta era impastata di aspirazioni antiche quanto di impeti furiosi a favore di scenari tecnologici futuri che corteggiava al pari di uno sceneggiatore di fiction. Dietro il suo odio per le famiglie si nascondeva un bisogno di adozione che sapeva promuovere e di cui era grata. Anche il suo astio per le donne-mogli, la loro convenzionalità e simulata innocenza ogni qualvolta scoprivano i mariti clienti di prostitute nascondeva la nostalgia per una condizione che immaginava rassicurante e destinataria di mille riguardi e cautele. Dietro le tante e radicali svolte in gioco vi era sottaciuto un bisogno basico di riconoscimento e di accettazione.
Non era sempre facile avere a che fare con lei. Passava dalla fascinazione al disprezzo mascherato da noia e delusione. L’ affettuoso umorismo con cui sapeva descrivere figure e ambienti poteva trasformarsi in sarcasmo crudele che infliggeva a sè stessa e agli altri/e.
Anche gli esplosivi entusiasmi di Roberta rischiavano di trasformarsi in dannazioni: la traduzione della creatività in impegni che le fornissero un reddito non è stata mai semplice, richiedeva mediazioni che la stancavano o l’avvilivano. Di quelli invece scritti ci sarà tempo di parlare con calma. Come molte di noi, Roberta è stata l’ideatrice di tanti libri che poi non hanno visto la luce. A lungo ha pensato ad un libro sull’origine della questione sessuale, nutrito della conoscenza e delle letture del mondo tedesco. L’ultimo progetto che ha coltivato riguardava una storia dell’aborto. Ci convocò una sera me e Claudia Mancina per discuterne, ne discutemmo a lungo. Voleva farne più che una storia congelata di un un capitolo dei movimenti delle donne, un testo autobiografico a carattere narrativo in cui intrecciare eventi e protagonisti alla sua avventura intellettuale. Non le fornimmo forse, io e Claudia, il sostegno entusiastico che si aspettava oppure nella vita di corsa di Roberta altre urgenze hanno preso il sopravvento. Aveva ragione ancora una volta lei. Di lì a poco la questione dell’aborto sarebbe riesplosa grazie alla moratoria proposta da Giuliano Ferrara su “ Il Foglio”.
Inquieta e pirotecnica, mi chiedo oggi quanto le sue virate non celassero anche rischi di autolesionismo che minacciavano di propagarsi a macchia d’olio nella sua esistenza.
Adesso Roberta mi manca nella vita di ogni giorno e nella riflessione sulla cronaca politica. Certo, con i suoi interventi il dibattito su sesso e potere avrebbe avuto uno sguardo ancora diverso.

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