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Il Belgio contro il Papa non lo capisco

20 Aprile 2009
di Letizia Paolozzi

Non riesco a capire il senso della risoluzione votata il 3 aprile dal parlamento di Bruxelles, con la richiesta di “condannare le dichiarazioni inaccettabili del papa in occasione del suo viaggio in Africa e di protestare ufficialmente presso la Santa Sede“.
Che il discorso della Chiesa e di questo pontefice mostri delle difficoltà a “riconoscere i segni dei tempi“ non è una novità. Secondo me, però, bisognerebbe sforzarsi di leggere dietro le sue parole, e il modo in cui vengono riportate dai media, senza fermarsi all’elenco delle “prove“ a carico attribuite a un linguaggio asserragliato nei dogmi e nelle certezze dottrinarie. Mettere insieme il discorso di Ratisbona su un Islam violento; la mano tesa ai vescovi lefevriani negazionisti; la scomunica dei medici brasiliani che avevano aiutato una ragazzina violentata ad abortire; le dichiarazioni fatte durante il viaggio in Africa che “il problema dell’Aids non si può superare con la distribuzione di preservativi“ e ora la partecipazione del Vaticano alla conferenza di Durban II, non aiuta.
Intanto, il linguaggio può dipendere da errori di comunicazione di Benedetto XVI e dei suoi più stretti collaboratori, che intervengono ex-post per – scusate la brutalità – mettere una pezza alle sue affermazioni. Secondo il cardinale Bagnasco “il Papa viene irriso e offeso“. Dimentica tuttavia che, in un mondo fortemente mediatizzato, le parole del pontefice sono sempre a rischio. Rischio di apparire distanti dai problemi che ogni giorno gli uomini e le donne incontrano.
Dico per me che sono donna, non credente, ma non antireligiosa. E che sento le risoluzioni di condanna lontane da ciò che vivo ogni giorno. Non mi convincono i pregiudizi – perché tali mi appaiono – per cui nulla di buono può venire dai discorsi della Chiesa.
Nel pellegrinaggio in Africa, Benedetto XVI ha incontrato povertà e dolore. La sua reazione è stata che “occorre un approccio etico allo sviluppo“, che non bisogna “arrendersi alla legge del più forte”. Tuttavia, una frase ha colpito: quella riferita alla catastrofe dell’Aids. “Non si può superare questo dramma con la distribuzione dei preservativi che al contrario aumentano il problema”.
Il Belgio e prima la Francia, la Germania, il Fondo monetario internazionale, hanno reagito polemicamente. Stesse obiezioni, identiche reazioni un troppo simili per non essere conformiste. Da pensiero unico.
L’epidemia dell’Aids ha colpito finora 60 milioni di persone. 25 sono morte. Oggi vivono con questa malattia 33 milioni di persone, dei quali 22 sono in Africa dove “l’ordine naturale dei sessi“ si chiama promiscuità di massa: rapporti sessuali in età precoce, più relazioni contemporaneamente e per lungo tempo, incontri occasionali, non stabili.
Con l’eccezione dell’Uganda dove il virus è stato combattuto con campagne di informazione, monogamia, astinenza, distribuzione dei condom. Evidentemente, il preservativo che impedisce al seme di raggiungere il suo “luogo naturale“ non è l’unica via per contrastare l’Aids e tutelare la vita umana. Allora, perché la polemica? Ed è pur vero che ricorrere esclusivamente al profilattico finisce per deresponsabilizzare. Non arresta la malattia. Meglio precisare. Se è l’uomo a scegliere una intensa vita sessuale con numerosi partner, il preservativo rappresenta l’unico mezzo capace di difendere contro l’AIDS.
Per la donna è diverso. Perché la sua sessualità è diversa.
La studiosa Barbara Duden ha osservato che la pillola, fornendole la possibilità di regolarsi da sé, rende le donne disponibili. Questa condizione avvantaggia il sesso femminile – io credo – giacché possiamo non restare incinta. Siamo sessualmente libere. Senza obblighi, senza impegni, senza patti? Ma io non penso che la libertà consista nell’azzerare la qualità del nostro corpo, la sua differenza.
Una differenza spesso legata (non sempre, evidentemente) alla fedeltà, all’astinenza che pratichiamo sommessamente. Magari un poco ce ne vergogniamo. Siamo fuori moda? Eppure, varrebbe la pena di tenere presente anche questi orizzonti morali prima di votare, come ha fatto il parlamento belga, la risoluzione del 3 aprile scorso.

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