Rosa / Nero

uomini e donne nella cronaca di tutti i giorni

Cara Letizia, diciamo no alla paura

10 Marzo 2009
di Enza Panebianco

Cara Letizia Paolozzi,
ho letto con moltissima attenzione il tuo intervento e l’ho trovato rassegnato. Mi amareggia molto in questi giorni il dibattito al quale tutte assistiamo. Mi amareggia soprattutto leggere quanto l’opinione di molte donne appartenenti al centro sinistra coincida per tanti versi con quella del centro destra.
Non giriamoci attorno: il cuore del problema non è mai stato e non è la “sicurezza”. Se ciascuna di noi immaginasse di dover risolvere le proprie paure e il proprio senso di insicurezza prendendo in considerazioni le analisi sommarie e le soluzioni forcaiole e giustizialiste della destra innanzitutto mancheremmo di lucidità e razionalità.
Come dire: la psicosi collettiva, la paura indotta, coinvolge tutti e tutte, nessuno o nessuna esclusa. Io stessa mi ritrovo a pensare a quanto possa essere a rischio la mia vita e quella delle persone, delle donne, che amo. Ho riflettuto su questo e ne ho anche scritto assieme ad altre donne, sorelle, amiche e compagne di percorso.
Ma la paura dura un attimo e poi ritorno a chiarire a me stessa che le strade buie, gli uomini cattivi nascosti nei parchi, la pioggia di notizie sugli stupri, non sono altro che la costruzione di una favola moderna.
In questa favola le donne continuano a dover stare attente al lupo cattivo, se disobbediscono e attraversano il bosco incontrano un lupo talmente furbo e intelligente da progettare una aggressione con un transfert nonnesco lievemente trans, nel momento di più alto pericolo arriva il cacciatore a salvarle. Il cacciatore compie addirittura il miracolo dei miracoli: riesce a tirare fuori dal corpo del lupo, la nonna ancora viva e perfettamente tornata nel suo ruolo di cura.
Di fiabe che parlano di noi, che ci incutono paura del buio, del diverso, del lupo cattivo, e ci ordinano che è meglio affidarci al cacciatore, al principe, persino ad un nano – con rispetto parlando – moltiplicato per sette, se ne possono trovare tante.
Come è possibile dunque non capire che ci troviamo di fronte alla stessa trama? Basta capovolgere la favola per capire di che si tratta in realtà: Cappuccetto rosso ha tutto il diritto di attraversare il bosco, basta che lo faccia con le spalle dritte e sia pronta a urlare, difendersi e scappare se arriva qualcuno. La nonna è una signora che è stata educata ad aver paura di tutto e continua a infliggere le sue fobie alla nipotina. Il lupo è in estinzione e probabilmente non ha mai provato ad aggredire nessuno. Il cacciatore mi pare la figura più pericolosa perché, si sa, i cacciatori sbagliano mira, approfittano dell’errore per consumare vendette che spacciano per incidenti, usano il porto d’armi – rilasciato con troppa facilità – per ammazzare la moglie o la fidanzata, anzi è probabile che inseguano – con veri e propri episodi di stalking – le cappuccetto rosso per limitarne le libertà.
Si scoprisse che il cacciatore è il cattivo della storia invocheremmo l’aiuto del lupo? Di cacciatore in lupo e di lupo in cacciatore non ne usciamo più.
I volontari per la sicurezza, come molti amano definirli, non sono altro che una derivazione della protezione civile, una possibile onlus che si prepara a ricevere l’appalto più grande della storia. L’operazione di marketing è iniziata da tempo.
Indurre un bisogno, una domanda e proporre immediatamente una offerta. Quale affare migliore del business della paura?
I volontari per strada possono sicuramente essere una risorsa per il paese. Lo sono quelli che si occupano di sex workers pestate dai clienti, quelli che si occupano di impedire che i clochards siano arsi vivi da aspiranti rondisti, quelli che lavorano ogni giorno per creare i presupposti affinché avvenga un reale processo di integrazione che è inevitabile e non si risolve con leggi razziali o con sorveglianti della razza, in qualunque modo essi si chiamino. Ma non abbiamo bisogno di volontari “antistupro”.
Come è possibile poi che ci sia una riflessione femminista che si conceda giustamente il lusso di dichiarare la propria paura e assegna ad altri la facoltà di risolvergliela? Sarebbero questi i presupposti per una migliore convivenza civile? Affidarsi? Attribuire poteri? Legittimare forme di militarizzazione delle strade attraverso l’uso delle nostre storie, del nostro sangue, del nostro dolore?
Come è possibile che alcune donne, grandi conoscitrici delle sofferenze che ci sono toccate per questioni di genere, in questi giorni siano diventate dispensatrici di appelli alla prudenza, richiami al decoro e alla morigeratezza. Non parlo di te, certo, ma ti coinvolgo in una discussione più generale che a tratti mi lascia davvero disorientata.
Come può una donna dire ad altre donne: state attente a non attraversare i parchi, non uscite la sera da sole, siate prudenti, cambiatevi d’abito, niente minigonna, portate con voi lo spray.
Come si può ignorare che il pericolo peggiore per noi sta dentro o vicino casa. E’ nostro marito, nostro padre, nostro fratello, figlio, fidanzato, ex, il nostro conoscente, vicino di casa, il compagno di scuola.
Che genere di sicurezza potranno mai garantire questi eserciti di volontari per risolvere un problema che è insito nella cattiva cultura di un paese. Una cultura dello stupro e della violenza contro le donne che viene sostenuta, alimentata e diffusa a partire dalle affermazioni del nostro presidente del consiglio.
Cara Letizia, avrai certamente sentito le battute del premier sulle donne belle e i militari di sorveglianza, avrai ascoltato il ministro delle pari opportunità concentratissima nel suggerire un look più “decoroso” alle sex workers, saprai che quest’anno siamo scese in piazza in tante il 22 novembre guidate dallo slogan “Indecorose e Libere”, saprai quanto grave sia la condizione economica del nostro paese e come ancora si spingano le donne affinche’ stiano a casa a risolvere un welfare altrimenti irrisolto, ad adempiere al ruolo di ammortizzatori sociali, al lavoro di cura dal quale lo stato dovrebbe affrancarci.
Io non ho paura e non ho bisogno di modificare le mie abitudini a tal punto da restare chiusa in casa a fare la brava moglie e la brava madre per far sentire più “tranquilli” quelli che si sono eletti quali miei “tutori”. Non mi lascio trascinare in questo vortice che si realizzerà tra mille costrizioni e sensi di colpa. Dovesse accadere qualcosa di brutto ad un volontario per la sicurezza saremmo noi donne, libertine e imprudenti, a pagarne le conseguenze. Ci chiederebbero di rinunciare, chiuderci in casa, essere più “responsabili” perchè ci sono degli uomini che “rischiano” la vita per noi. Saremmo l’alibi di una delle tante “guerre giuste” durante le quali gli uomini amano tanto giocare al cow boy contro l’indiano. Io ho paura di chi ha paura. Chi ha paura si piega e obbedisce, si lascia guidare anzi dominare censurando il proprio senso critico. La paura non può essere la soluzione.
La paura non può essere il sistema di coesione sociale tra i due sessi.
La paura del maschio straniero non può indurmi a stimare di più l’uomo italiano. I divorzi continueranno ad aumentare, di figli targati “italia” ne nasceranno sempre meno e non ci potrà essere niente che induca le ragazze a rinunciare alla loro fetta di libertà. Nulla a parte il terrore che potrà indurle a dare più credito e fiducia al maschio italiano.
Questa è la vera e grande campagna promozionale di questi brutti tempi e considerando quello che tu scrivi è una campagna perfettamente riuscita. Il maschio italiano, quello di vecchio stampo, che non si è mai messo in discussione, che continua a imporci un punto di vista che non piace neppure ai loro figli, maschi anche loro, perchè un po’ sono cambiati anche se nessuno se ne è accorto, quel maschio è venduto, va a ruba, si può rimettere sul mercato, riaprono i matrimonifici, i reparti maternità e poco importa se sposi e neonati dovranno essere mantenuti dai suoceri ai quali viene diminuita sempre più la pensione.
La paura è un grande affare. Bisogna ricordarlo sempre. Rifletti sulla tua vita, su quella delle donne che nel corso delle tue ricche esperienze hai conosciuto e dimmi, per favore, dove sta la violenza contro le donne. Di cosa dovremmo aver paura: la mancanza di prospettive economiche? Lo scippo di futuro? La violenza istituzionale? L’ingerenza dello stato e della chiesa nelle scelte che riguardano la nostra vita e persino la nostra morte? La militarizzazione delle strade? Il controllo sociale al quale ci sottopongono costringendoci – perché spaventate – a modificare abitudini, costumi? Non si tratta forse del più grande episodio di stalking che possa essere preso in considerazione?
Concludo dicendoti che comprendo perfettamente le fobie irrazionali, ne ho tante anch’io. Abbraccio me stessa, te e tutte le donne per questo. Dopodiché bisogna mettere da parte le paure e ragionare.
Io non voglio consegnare alle giovani donne che crescono o nasceranno un mondo nel quale loro devono dipendere dagli uomini. Immagino, ne sono certa, che non lo vuoi neanche tu.
Un abbraccio.

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