Merci / Desideri

produrre e consumare tra pubblico e privato

Orgoglio maschile e parità salariale

17 Febbraio 2009
Queste testo è anche in www.fondazionebasso.it nella rubrica "Le memorie del presente".
di Gabriella Bonacchi

Con un atto di grande significato simbolico, Barack Obama ha scelto di firmare come prima legge della sua presidenza, un decreto che sancisce la parità salariale tra uomini e donne. La legge, dedicata a Lilly Ledbetter, una lavoratrice della Good Year giunta fino alla Corte Suprema nella sua lotta contro la discriminazione subita, vuole sanare un fatto che molte circostanze odierne tendono ad occultare: anche in Italia, come negli Usa, a parità di istruzione e di età, il differenziale salariale tra uomini e donne è oggi – 2009! – circa del 26%. Ancora…
Tra gli opuscoli della Libreria Editrice “Avanti”, sono conservate le Riflessioni di Cristina Bacci
A uguale lavoro uguale salario pubblicate nel 1917. Le ormai ingiallite paginette rievocano un interessante episodio. All’indomani dello scoppio del primo conflitto mondiale, l”Unione femminile delle donne socialiste italiane” propone un ordine del giorno per il Convegno in Roma del Partito Socialista Italiano che invece di impegnarsi sulla pace – il tema prescelto dalla Direzione del partito – nomina, rivendicandolo testardamente, il “diritto sempre conculcato” delle lavoratrici alla uguaglianza retributiva. E’ interessante notare che tale richiesta fu accolta, prima che dai compagni di partito e di lavoro, dal Ministro delle munizioni, preoccupato di possibili defezioni nella mano d’opera femminile, ormai indispensabile nelle fabbriche sussidiarie di guerra: armi, copertoni, vestiari, scarpe e tutto l’occorrente per equipaggiare gli eserciti, erano in gran parte affidati alle donne. Toccò così alle lavoratrici della guerra strappare la prima vera parità salariale della storia…
Bacci racconta alcuni tra i molti perché delle difficoltà incontrate dalle lavoratrici. All’epoca, la parità sembrava configurare una rinuncia da parte dell’uomo a ostentare “l’appartenenza a un mondo da cui la donna è esclusa”: il mondo della superiorità muscolare e intellettuale del maschio, la sua coda di pavone… E’ “doloroso, lo capisco”, notava ironicamente Anna Kuliscioff: il mondo non era ancora governato beneficamente da quelle “istituzioni sociali” che nella mente riformista dell’epoca avrebbero dovuto prendere il posto delle “industrie domestiche”, sollevando così le donne dalla inclemente disparità delle cure domestiche. Come Kuliscioff, Cristina Bacci era ferma sostenitrice dell’”alma scuola” positivista che guardava al percorso storico come al lineare susseguirsi di continue conquiste da parte degli operai, portatori di una superiore forma di razionalità valida per tutti: uomini e donne.
La “compagna Bacci”, notava Gramsci attaccandola aspramente nel “Grido del popolo” (19 ottobre 1918), non vedeva come il positivismo, lungi dall’essere ancora il metodo critico delle origini, si fosse ormai trasformato in cieca credenza: un’idea di progresso più o meno assimilabile alla fede che, nei cattolici come Marras, risolveva la storia nel trionfo finale dello Spirito Santo.
Gramsci non nega l’importanza della parità salariale tra uomini e donne. Ma sposta il fuoco del dibattito. Da bruciante attualità per i riformisti, la questione va a rivestire un ruolo minore nell’agenda dei rivoluzionari. Qui assume quella secondaria importanza che ha conservato – in pratica – fino ai nostri giorni.

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