Merci / Desideri

produrre e consumare tra pubblico e privato

C’è la crisi, mi curo con balocchi e profumi

12 Dicembre 2008
Pubblicato sul Secolo d’Italia del 26 novembre 2008
di Roberta Tatafiore

Il settimanale Grazia (target femminile medio-alto) ha stilato i dieci comandamenti per affrontare la recessione: usare lampadine a basso consumo, passare le vacanze da parenti, comprare il decoder per il digitale terrestre per risparmiare in cinema-e-pizza. Quindi, fondamentale, ridurre le spese per il cibo. Ma sì, basta con questa passione italiota per la buona tavola. Meglio limitarsi ai prodotti da supermercato che costano meno e fanno bene alla tasca e alla salute. Risultato: più magri e più belli.
Forse la collega non sa che più si disinveste nella spesa alimentare più si ingrassa. Perché per saziarsi si ingurgitano più sostanze caloriche. Da noi, a parte qualche allarme sporadico, non si danno problemi seri legati alla cattiva nutrizione da povertà, non c’è il fenomeno dell’obesità di massa come tra gli abitanti dei sobborghi malmessi di mezzo mondo sviluppato. Vogliamo preparare il terreno all’esplosione dei “poveri ma brutti” con questi sciocchi consigli cibofobici?
Ben più raziocinante, Barbara Spinelli in una delle sue articolesse domenicali su La Stampa ha rispolverato la vetusta teoria dei “persuasori occulti”, i quali a forza di spingerci a comprare ci hanno fatto diventare dei burattini. Cita autori statunitensi di sinistra che rincarano la dose dell’orrore politico e morale insito nella società dei consumi. Eppure proprio nel paese più consumista del mondo ha studiato, si è formato e politicizzato il presidente Obama, presidente certamente benvoluto da Spinelli e Co.
E’ stato eletto da qualche milione di burattini senza testa?
Forse dovremmo più spesso ricordare che vivere in un mondo in cui sono a disposizione tutte le merci, anche quelle superflue e super superflue, vuol dire più libertà, e non solo per i pochi eletti destinati a occuparne i vertici. La persona consumatrice si evolve assieme alla società che abita, ne definisce la cultura e il modo di collocarsi nello spazio pubblico.

Ancora più oltranzista di Spinelli, Eva Cantarella. Affascinante docente di diritto romano nonché autrice di bei libri di storia antica, intervistata da Donna Moderna (target medio- basso) ha detto di confidare nella crisi economica per assistere allo sgonfiamento della bolla consumista. Non importa se un tale fenomeno potrebbe dare una bella mano a farci scivolare dalla recessione alla depressione instaurando il circolo vizioso tra minore consumo e minore produzione, con il risultato di più povertà.
Il che (detto tra noi) non ricadrebbe sulle spalle dei professori universitari bensì su quelle assai più fragili degli operai, degli addetti al terziario, dei piccoli imprenditori, dei precari e della gioventù che si affaccia oggi sul mercato del lavoro.
Ma per Cantarella tutto questo non conta se serve a farla finita con il moloch distruttore della civiltà che porta i cervelli all’ammasso. A questo punto mi indigno: non sopporto le persone “bene” che pontificano di dubbie catastrofi tanto imminenti quanto salvifiche senza la minima considerazione per i meno fortunati. Per costoro, infatti, investire affettività nelle merci ha un grande significato: un regalo al bambino, un oggetto per la casa, una torta per la famiglia, una bigiotteria per sé.
Meno male che ho letto Guia Soncini su Io Donna (il sofisticato inserto del Corriere della Sera) e mi sono tirata un po’ su con le sue pillole di sicumera ironica e auto ironica. Ha scritto: “se gli economisti leggessero cose da femmine, forse avrebbero previsto tutto”. No, non il crollo del castello di carta costruito con gli infidi “prodotti derivati” come oggetto di scambi finanziari, però si sarebbero accorti che il vento stava per cambiare, proprio a partire dalle femmine.
Cita a questo proposito una tale, favolosa, India Knight – inglese – la quale proprio appena prima del putiferio settembrino, se ne è uscita con un volume di tutto rispetto intitolato Il libro della parsimonia. E’ fondamentale per sapere come lavare in acqua gli abiti con l’etichetta “solo a secco” o come raggiungere il sito internet (guarda caso, americano) che provvede al recapito della merce se una, metti caso, decide di fare spese on line su siti esteri a buon mercato che però non prevedono la consegna oltre i confini nazionali. Succo del discorso: grazie a questi e altri stratagemmi le donne sono pronte per dettare la tendenza dei tempi bui: il frugal-chic. Dovremo comunque rinnovare il guardaroba. Non siamo mica stupide, siamo consumiste.
Con Lucietta Scaraffia, femminista papista (lei stessa si definisce così), sono tornata al peana anti-consumista, ma molto women-oriented. Su Il Riformista ha affermato che noi donne siamo preda del feticismo delle merci al punto tale da occultare dietro l’acquisto bulimico la depressione che, più o meno segretamente, ci tormenta. Per converso, quando saremo costrette dal risparmio a effettuare oculati e limitati acquisti nei negozi a basso prezzo, riacquisteremo la nostra identità. Saremo più distese e magari riusciremo a intrattenerci tra noi in piacevoli e solidali conversazioni intorno al vantaggio di comprare le tali zucchine o il tale golfino laddove scopriamo la convenienza che ne deriva.
Boh. Io, romana, vado a fare più o meno una volta al mese la “spesa grossa” al discount di San Lorenzo, mentre quando voglio comprare un lenzuolo di discreta qualità per quattro euro, mi infilo nei Magazzini allo Statuto dell’Esquilino. Anche perché abito lì. Non mi sembra di scorgere in questi luoghi un gran clima da convivio femmineo. Vedo invece: pensionate con le gambe gonfie, il bastone e i soldi contati e nessuna che da loro una mano; ragazze punk-a-bestia che acquistano cibo per cani, per le amate bestiole e magari per nutrire sé stesse, guardate e trattate come appestate; immigrate stanche cariche di bustoni di plastica da trascinare negli autobus perché chissà dove abitano; madri di famiglia, di tutti i colori d’incarnato, nervose e sprofondate a raffazzonare capi d’abbigliamento di provenienza militare. Più un tot di simili a me, talvolta maleducate.
Allora, signore e signorine, a voi che, lo vogliate o no, rappresentate il mio sesso, chiedo: devo sentirmi in colpa perché quando entro negli sbrillucicanti negozi di trucchi e cosmetici sento il cervello produrre benefiche endorfine e, quanto ne esco col mio bel sacchetto argentato stracolmo di balocchi e profumi, mi sono felice come una pasqua?
Temo mi risponderete di sì, e non ci sto. Piuttosto, metto in guardia umani d’ambo i sessi dal lasciarsi sedurre dagli opinion-maker crisaioli che parlano e scrivono come se la depressione, quella tosta e lunga, già si sia insediata nella realtà quotidiana. Altrimenti non si spiega questa passione diffusa per la catarsi economica, come se già stesse scritto da qualche parte che ci porterà al tramonto del capitalismo di mercato (consumismo compreso) e all’alba di una nuova era improntata a un nuovo corso ideologico. Tristemente pauperista.

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