Sarebbe stato bello. Bello e impossibile, che la stampa e tutti noi avessimo signorilmente ignorato le intercettazioni di fatti privati. Invece di quelle rese pubbliche se ne è fatto scempio e di quelle non pubblicate ancor peggio. Non c’è riga, articolo, cronaca che non grondi allusioni. Fino alle telefonate su internet, false ma, si dice, verosimili. Per non parlare delle vignette.
Basta dare un’occhiata all’inserto satirico dell’Unità (7 luglio). Il temuto “regime” è diventato pornocrazia, così Repubblica dedica due raffinate pagine alle nuove cortigiane (8 luglio). E, poiché tutti i salmi finiscono in gloria, sono innanzitutto loro, le presunte cortigiane, ad andarci di mezzo.
Mara Carfagna in testa. Disegnata e raccontata senza pietà. Su Il Foglio del lunedì c’è un collage edificante di quanto è stato scritto su di lei. Ma, come spesso avviene, è il contesto che giustifica il testo. Il titolo infatti è: “La ministra del cui seno si sa tutto”. D’altra parte non c’era stato il famigerato titolo di Libero (5 luglio) sulla ministra che ha “rivitalizzato” il governo?
Per gli uomini è scontata la goliardia misogina, ma molte donne non sono da meno. Così anche chi la difende trasuda malignità. Come Santanchè che dice: “Quando una cretina arriva in un posto importante vuol dire che c’è vera parità” (Corriere della sera , 4 luglio). Più sottile Lucetta Scaraffia su Il Riformista (1 luglio) che, dopo aver citato Erodiade, madame de Maintenon, Josephine Beauharnais nonché Claretta Petacci, conclude che oggi, grazie all’emancipazione femminile, sono cambiate le richieste in cambio dei favori sessuali. “Non più regali, ma affermazioni professionali e successo, rapido e sicuro”.
Più diretto almeno Filippo Facci che sempre su Il Riformista (3 luglio) insiste: “Mara Carfagna ha cominciato a fare politica nel 2006 e a metà del 2008 è diventata ministro: è troppo, punto.”
Nessuno e (quasi) nessuna, anche a destra, che le dia credito. Solo alcune fanno nobile eccezione (Corriere della sera, 4 luglio). Se tutto questo tocca alle amanti (presunte), sarà salvata almeno la moglie?
Macchè: il suo silenzio viene analizzato e interpretato (vedi Cresto Dina su Repubblica, 5 luglio). Fino a chiederle pubblicamente, come fa Lidia Ravera su L’unità (6 luglio), di licenziare il marito. Fa seguito girandola di dissensi femminili sul Corriere (7 luglio). Che culmina con la cruda requisitoria anti Ravera (definita “guardona”, lei, e “ripugnante” il suo articolo) di Maria Giovanna Maglie su Il Giornale (8 luglio). La danza orribile continua e in vario modo tutti la danziamo. Forse anch’io con questa piccola cronaca.