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Uomini e donne secondo spot e statistiche

26 Luglio 2008
di Franca Fossati

Leggo sempre con curiosità la rubrica che Aldo Cazzullo tiene su Io Donna, attirata soprattutto dal titolo: “Quello che gli uomini non dicono”. Quasi sempre mi ritrovo delusa. Invano cerco piccole confessioni, sprazzi di verità su sogni, giudizi e desideri maschili. Spesso trovo invece garbate prediche rivolte alle donne. Anche sull’ultimo numero.
Argomento, lo spot di un detersivo, con platea di massaie plaudenti che rispondono in coro al venditore-imbonitore. Come è possibile, si chiede il giornalista, “che l’italiana media non trovi umiliante un simile spot, ma possa invece riconoscersi nell’entusiasmo delle colleghe, e acquistare volenterosa il prodotto”? Certamente umiliata, mi chiedo però: come mai l’italiano medio non si sente a sua volta umiliato dal fatto che non ci sia prodotto a lui rivolto che non venga presentato dalla pubblicità senza un paio di tette?
Perché non ci parla anche di questo il bravo Cazzullo?
Un’altra firma del Corriere della sera, Franco Venturini, commentatore di politica estera, firma una rubrica di Io donna titolata Est/Ovest . Nella più recente viene commentata un’indagine inglese, secondo cui “tre donne su quattro pensano agli acquisti tanto spesso quanto gli uomini pensano al sesso”. E cioè ogni sessanta secondi, più o meno.
Ebbene: invece di ritenere umiliante per entrambi i sessi questa statistica, il giornalista la butta sullo scherzo e conclude con un consiglio. Rivolto agli uomini: “Lo spasimante si presenti all’oggetto del suo desiderio munito di ogni ben di Dio, vestito, scarpe, borsetta, quel pendant tanto grazioso, e magari (se non ha paura dei rischi) anche un anellino niente male”.
Ci sono però statistiche che dicono qualcosa di vero sulla differenza tra i sessi. E’ il caso di quella segnalata da Stefano Feltri sulle “cronachette” de Il Foglio.it (21 luglio). Si tratta dello studio di tre economisti francesi che hanno analizzato i risultati dei test di ingresso all’HEC, la prestigiosa businnes school parigina. Come mai, si chiedono i tre, le ragazze che pure si diplomano con i voti più alti e finiscono l’università con i risultati più brillanti, non diventano top manager? Ecco la spiegazione individuata: “quando la pressione competitiva aumenta e l’obiettivo è ottenere il posto sottraendolo a un altro, gli uomini sono imbattibili”.
E’ la competizione a sopperire all’inferiorità maschile. Per far entrare più donne nella scuola dei manager basterebbe cambiare i criteri di selezione e adattarli alle qualità femminili. “Altro che quote rosa”, è la conclusione del pezzo.

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