Considerato quante donne e quanti uomini si dedicano a scavare nel proprio io, appare davvero strano che i diari occupino un posto “minore“ nel campo della letteratura. Io me lo spiego così: nominare il dolore, confessare la malinconia, rimuginare nel desiderio, prestare attenzione ai segni minuti del tempo che trascorre, hanno reso la critica diffidente.
La critica ha bisogno di forme letterarie regolari, ordinate. Il diario ovvero “l’ancora che raspa contro il fondo del quotidiano“ (Maurice Blanchot) la rende diffidente.
Non è invece diffidente Simonetta Piccone Stella (“In prima persona. Scrivere un diario“, Il Mulino) quando, di fronte alla pensosità di chi vorrebbe destreggiarsi elencando e attribuendo caselle ai diari di viaggio, diplomatici, intimi, politici, militari e letterari, imbocca una strada diversa e punta decisa sulla “quotidianità e la sopravvivenza“ come fili conduttori della sua riflessione.
Se volete, si tratta di una scelta arbitraria ma è con simili gesti e forzature che il gioco diventa serio. Serio a tal punto da avvertirci che “i diari comunicano il senso di una vicinanza corporea a chi scrive, un’esperienza surreale del suo presente, l’intimità fisica con una mano o una testa, il contatto con una scrittura nel suo farsi“.
Dunque, il diario si serve di una scrittura-ponte che permette all’autore (autrice) e a noi lettori (lettrici) di passare dal dentro al fuori, dall’interiorità all’esposizione dello sguardo. In fondo, siamo tutti invitati a sederci (come spie o come ospiti di riguardo?) al banchetto dell’intimità.
In quel banchetto il corpo ha un ruolo importante. Per i nessi che crea tra l’io profondo e i modi che quell’io ha per collocarsi nel mondo reale. Senza corpo il diario sarebbe vuoto di qualsiasi amore soggettivo per le briciole della vita.
Queste briciole della vita, nel suo bene e nel suo male, Simonetta Piccone Stella le raccoglie attraverso testi dei quali la gran parte appartiene al Novecento. Sono testi sondati per seguirvi “il ruolo della quotidianità, l’aspirazione a dare conto in modo esaustivo e totale del cuore umano, il desiderio di sfidare i limiti della parola scritta con un immaginario acting out“.
In questa riflessione, l’autrice interroga da Michel Leiris a Sylvia Plath a Julien Green ma richiama anche Pavese, Virginia Woolf , Kafka, con il loro “mestiere di vivere, mestiere di scrivere“.
In effetti, in un libro del 2005 (“Canto del mondo reale. Virginia Woolf. La vita nella scrittura“ Il Saggiatore), Liliana Rampello aveva definito il “racconto di una vita“ le migliaia di pagine di diario che la Woolf aveva cominciato a scrivere a partire dal gennaio 1897 e che l’accompagnerà fino a quattro giorni prima del suicidio.
A volte, i testi mostrano una vera e propria “autoauscultazione“, quasi una necessità di “denudamento“. Un lavoro fino allo spasimo intorno alla conoscenza di sé. Ma succede anche che i diari si trasformino in strumento di sopravvivenza. E’ il caso della diaristica che accompagna il vissuto della seconda guerra mondiale.
Qui Piccone Stella accenna a una differenza importante, a un “diverso“ ordine di priorità per gli uomini e per le donne. Ada Gobetti, Leonetta Cecchi calate nella fatica di procurare del cibo –scarso, raro – tentano di rattoppare un cupo presente con “l’attenzione a ciò che è necessario fare subito, qui e ora, per porre rimedio ai guasti e alla distruzione“. Al contrario, Ernst Junger pasteggia con i gamberi rossi nei ristoranti parigini e Drieu La Rochelle stabilisce una “lontananza“ dai disastri del conflitto mondiale.
Sì, ha ragione Virginia Woolf quando afferma che “il diario è lo strumento tagliato per documentare la vita che continua”. Documentare, certo, ma attraverso una lingua che traduce, senza la quale il racconto di sé si ridurrebbe a una gesticolazione emotiva.
D’altronde, il diario attribuisce al lettore (più spesso alla lettrice) un posto importante nel momento in cui lo invita sulla scena del sé. E di quella scena gli schiude la porta prendendolo per mano e dicendogli: “Vieni. Scrivere questo diario è un atto misterioso, nascosto eppure tu che mi leggi puoi trovare nelle mie parole le tue“.