Primarie e donne. Provate a immaginare una eventuale elettrice, senza tessera di partito giacché diffida assai dei partiti, ma convinta che i tentativi di semplificare il sistema politico italiano vadano comunque sostenuti. La scommessa del futuro Pd consiste, tra l’altro, in questa semplificazione: l’eventuale elettrice gliene riconoscere il merito.
Per la Casa della sinistra, forse per la Costituente socialista, potrebbe valere lo stesso ragionamento. Anche se aleggia su tutti lo spettro e la minaccia di ceti politici ossificati. Naturalmente, conta pure la collocazione politica, il progetto. Questo, pensa l’elettrice possibilista, dipenderà dall’esito del rimescolamento di idee e culture diverse. Sempre che le forze politiche sappiano abbandonare le care abitudini organizzative, i tic ideologici, le mostrine identitarie.
L’elettrice ha, però, una pretesa molto speciale: capire in che modo un partito nuovo guarda al suo sesso, al sesso femminile. Certo, a leggere i due inserti usciti sull’Unità sui riferimenti valoriali del Pd, e i padri, le madri di questi riferimenti, il gioco sarebbe già chiuso. Solo padri, mai una madre che sia una. Inoltre, l’ affaire Veronica Lario in Berlusconi avendola leggermente scombussolata, prova a capire ispirandosi alle sue sorelle di sesso.
Secondo Ivana Bartoletti, presidente dell’associazione Anna Lindh, rete delle giovani vicina ai Ds “le regole e un nuovo patto tra generazioni e con gli uomini più illuminati sono l’unica strada affinché in Italia le donne escano dal buio“.
Ha detto “buio“, Bartolettti? Veramente, in Italia le donne sono più brave, più preparate, più scolarizzate, più colte. “Se non ci fossero loro a leggere i miei romanzi, dovrei tornarmene a casa“ ha spiegato lo scrittore Ian McEwan. Ovunque si entra per concorso, non da oggi, stanno diventando la maggioranza. Nell’avvocatura, nel sistema sanitario, nelle carriere statali. Nelle facoltà scientifiche, a Medicina ecc.
In politica no, le cose vanno diversamente. Ma in politica c’è di mezzo la cooptazione. Per evitarla, immagina l’elettrice, si corre ai ripari: di qui il 50 % di donne e il 50 % di uomini nella Assemblea costituente del Pd. Stesso fifty-fifty per comporre le liste dell’election day ulivista. Il tutto ottenuto attraverso una norma cogente, capace di piegare i riottosi, i maschilisti, gli arroganti, gli opportunisti: gli aggrappati alla poltrona.
Norma rassicurante, per evitare l’affidamento ai maschi dirigenti. Non costringe a conflitti sfinenti con “il sesso forte“; non propone il modello Eva contro Eva (essendo, d’altronde, le liste bloccate, senza preferenze e con alta soglia di sbarramento). E poi esclude la fatica di tessere relazioni forti (sostegno, solidarietà, lobby) tra donne. Una norma cogente che punta sul numero per riempire le liste: la partita tra uomini e donne si chiude, nel Pd, con un pari e patta.
Per la coordinatrice delle Ds, Vittoria Franco “stiamo crescendo e dobbiamo continuare a farlo, anche se è un lavoro lungo e duro. La democrazia paritaria è la nuova frontiera della politica“. L’ elettrice ha un sussulto: non c’è, da più di dieci anni in questo Paese, una crisi di legittimità della democrazia e della rappresentanza democratica? Non sta deflagrando il populismo, ora con Grillo, prima con Tangentopoli, prima ancora con Giannini e L’Uomo qualunque? Le nostre sorelle di sesso cosa inventeranno per non essere, anche loro, stritolate dai tentacoli o assestata nei privilegi della “casta“?
Comunque, Walter Veltroni assicura che questo 50 % di donne è un fatto straordinario e promette che saranno il 50 % nei futuri organismi dirigenti. Ma sì, potrebbe trattarsi di una forzatura positiva sempre che quel 50 % femminile non sia soltanto frutto di conta anatomica.
In effetti, quando di conta si tratta, succede che solo tre donne gareggino per i vertici regionali del Pd, laddove si precostituisce il corpo vero del futuro partito. Come sapevano anche le nostre nonne, se il gioco si fa duro, i duri cominciano a giocare.
Tuttavia, il problema è ancora un altro. La sensazione che con questo discorso del 50 % non si configuri tanto uno spazio dove le donne conteranno quanto un aggiustamento, un riequilibrio meccanico di una situazione ormai indecente di assenza delle donne dai luoghi istituzionali. “Se continua così finisce che anche nel mondo militare le donne finiranno per essere presenti più che in politica“ (il ministro Arturo Parisi su Io Donna).
Sempre obbedendo all’articolo 7 del regolamento, si sono costruite liste (sarà un esercito di 35.000 persone) con uomini e donne capilista alternati. In Campania, dove vige un controllo politico incredibile, comincia un violento conteggio per chiedere il rispetto del principio dell’alternanza. Questo agitare la bandiera delle donne non sarà da interpretare come una delle solite pratiche “maschiocentriche“ (definizione di Franca Bimbi su questo giornale) in cui ci si para dietro i corpi femminili?
In fondo, l’unica ad essersi battuta contro “un uso ornamentale delle donne“, è stata Rosy Bindi che ha deciso di prendersi uno spazio autonomo nella competizione per il Pd. Certo, l’ha fatto con qualche tono eccessivo, con una inevitabile personalizzazione ma doveva pur romperete il clima di condiscendenza (quello delle quote, dei dispositivi antidiscriminatori) verso le donne in politica. Soprattutto, Bindi se ne è sbattuta delle mode e così ha tenuto il punto della dignità femminile. L’elettrice l’apprezza. Perciò l’ha scelta e la voterà. Senza impegno nei confronti del Partito democratico che, d’altronde, ancora non esiste. Ma come riconoscimento per il gesto di libertà compiuto da una donna.
Questo articolo è stato pubblicato anche sul Riformista