Se cliccate www.50e50.it vi accolgono note musicali e un canto di donna che dice “a un passo dal possibile…”. Il possibile è la “democrazia paritaria”: un numero uguale di donne e di uomini alternato per sesso in tutte le liste. La proposta è in una legge di iniziativa popolare promossa dall’UDI (la sigla storica dell’Unione donne italiane). La raccolta delle firme, che si concluderà il 30 novembre, avrà sabato 13 ottobre a Roma una tappa importante. Una manifestazione in piazza Farnese per dire (così il volantino delle organizzatrici): “io voglio esserci per decidere del futuro ovunque”. Il tema infiamma da mesi i luoghi del femminismo. Tra gli ultimi dissensi quello di un gruppo dell’UDI di Palermo: “Che sempre più donne si trovino nelle condizioni di decidere della cosa pubblica segna l’inizio di una nuova civilizzazione oppure costituisce l’avvio di un nuovo percorso di cancellazione della differenza femminile non più per esclusione ma per inclusione nel potere maschile?” (www.libreriadelledonne.it). La divisione tra femministe, aveva scritto Ida Dominijanni (Il Manifesto, 18 settembre), riguarda in primo luogo come leggere l’assenza delle donne dalle istituzioni. Esclusione o autosottrazione? Non ha dubbi Marina Terragni: “La politica sta di qua e la stragrande maggioranza delle donne di là”. Sono loro le vere antipolitiche (Il Foglio, 2 ottobre). Severissima anche Letizia Paolozzi: non ci si può illudere che il “deficit simbolico” della politica maschile, “possa essere colmato schiacciando un solo tasto della calcolatrice” (www.donnealtri.it). Qualcuna ha cercato in verità di collegare la povertà della politica/casta alla scarsa presenza femminile. Lo ha fatto Franca Bimbi (L’Unità, 13 settembre) osservando come a Stella e a Grillo, sfugga “come la discriminazione di genere sia un aspetto non secondario, effettivo ed efficace, della riproduzione castale”. E ne ha scritto Ritanna Armeni (Liberazione, 18 settembre) portando ad esempio la sobrietà di alcune leader mondiali, come Angela Merkel o Michelle Bachelet. Ci sarebbe meno antipolitica se il “sistema di potere fosse più condiviso e meno maschile”. Ma ci vuole una legge per far affezionare le donne alla politica e cambiare la testa degli uomini? E la seconda domanda è: perché mai chi vuole provare la strada della legge “occulta l’ altrove e l’altrimenti” delle pratiche politiche della differenza? (Lia Cigarini, Via Dogana).
Se ci sono queste pratiche, che cosa impedisce che si facciano vedere?
Pubblicato su “Europa” il 2 ottobre