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relazioni politiche, dal quartiere al mondo

Il desiderio delle donne che fanno politica

25 Maggio 2007
Questo articolo è anche su Aprile on line
di Clelia Mori

Milano, Parigi, Genova, legate al femminile nella gestione del potere, pongono alle donne della differenza degli interrogativi.
Le molte donne ai vertici nella città di Milano non rimandano un’espressione di “cambiamento”al femminile di questa città. Chi lo sostiene è la Libreria delle donne di Milano sull’ultimo numero di Via Dogana dicendo”questo femminismo non ci basta”.
E’ un’affermazione forte che pone un problema complesso alle donne e ai loro desideri, le interroga sul loro fare nella società e nella politica dei partiti, quando gestiscono il potere. Contemporaneamente, una donna di centrosinistra che ha osato voler diventare presidente della Francia non intercetta il voto delle donne, anche se è una donna ,e non un uomo della sinistra, quella che ha osato provare ad unirla per sfidare un candidato della destra che da cinque anni si stava preparando.
Milano e Ségolène Royal sono due avvenimenti staccati o si intrecciano? Come? Tra l’altro ora in Europa c’è, da venerdì, un nuovo governo ma di centrodestra, composto per quasi la metà da donne. C’è anche un’altra rivista Legendaria che indaga sulla presenza di molte donne a Genova in luoghi di potere e segnala una novità, ben due donne, una di sinistra e una di destra, sono contemporaneamente candidate in Comune e in Provincia.
Marta Vincenzi, la forte candidata a sindaco del centrosinistra, pare che tema un poco il voto delle donne dopo quello che è accaduto a Ségolène anche se, ha ammesso, non ha scelto di mettere in primo piano il suo femminile. Lei sostiene per non strumentalizzare le donne, anche Ségolène sembra aver fatto qualche pensiero di lontananza, ma non è chiaro se è possibile questa neutrità col proprio genere se poi parte dal neutro la nostra accusa alla gestione maschile del potere. Comunque, certamente questa scelta fa pensare. Viene la sensazione che sia soprattutto la differenza di genere come pratica teorica del quotidiano l’oggetto da velare nella ricerca del consenso. Forse ci sono timori ad accentuare l’appartenenza a percorsi molto connotati della differenza e potrebbe essere interessante chiedersi perché questo accade, quando c’è di mezzo la presa del potere?
Ma se fosse davvero così, allora cosa ci resta della differenza di sesso tra essere candidata donna e non uomo?
Provo a fare un elenco, facendomi forte anche dell’esperienza reggiana. Innanzitutto rimane l’”immagine”al femminile, come ha detto Luce Irigaray parlando delle elezioni in Francia su Repubblica, con una spruzzata di maternità quando c’è e poi la risorsa di un linguaggio e di un atteggiamento al femminile. A Genova, Marta Vincenzi ha scelto una grammatica simbolicamente nuova per presentarsi chiamandosi “la sindaco”nei manifesti, ponendosi a metà tra il maschile e il femminile.
Basterà? Lo sapremo presto, dopo il 28 maggio. Ma poi?
Poi inizia un’altra storia, per loro e per noi donne. E’ la pratica dell’amministrare, e lì è più difficile usare solo l’immagine o il materno o pezzi di linguaggio o di atteggiamento e non si sa neppure se bastano tutti assieme queste parti di donna per governare da donna per le donne..
Certo è che il materno intriga. Recentemente ha fatto esaltare in un articolo la persona di Anna Finocchiaro. Il riconoscimento del materno sembra ancora una delle chiavi sicure per cui molta parte degli uomini di potere in Italia sono disposti a farsi governare, in luoghi alti di vertice, da una donna.
Basterà tutto questo anche alle donne per aver fiducia nelle donne al potere? In Francia non è bastato, ci auguriamo che per fare il sindaco basti. Comunque, credo sia importante chiedersi perché le donne non votano donna? Cosa vogliono davvero le donne da una donna al potere? E basteranno sette donne al potere per convincerle che sanno governare anche per loro?
Perché rimane nelle donne, ma anche negli uomini, questa sensazione d’ indifferenza tra lo scegliere un uomo o una donna? Questa intercambiabilità tra femminile e maschile sembra inquietante per la politica delle donne e non solo. Si percepisce un rischio di credibilità per la verità originale della politica quotidiana delle donne, là dove afferma il suo differente modo di stare al mondo nel mondo, se la rappresentanza istituzionale femminile attuale si dà questi limiti per giocarsi nel “mercato” del potere.
E questo interroga anche la forma di rappresentanza che, da molte parti, le donne dei partiti stanno volendo: il famoso 50% diviso tra i generi. Se questo passa ed è passato nei gruppi unici di Sinistra Democratica, primo caso in Parlamento, avremo raggiunto come donne quella soglia di pensiero per cui le cose riescono a cambiare? Qualcuno dice che scientificamente già il 30% è una soglia di rinnovamento.
Ma se l’atteggiamento è quello di non scommettere in toto sul proprio femminile e il risultato è quello di Milano, cosa accadrà di quel rinnovamento della politica, in crisi di “senso,” che tutti e tutte vorremmo che accadesse e per cui crediamo di essere l’unica altra risorsa, fuori dalle architetture barocche in cui continuamente ci conduce il lavorio maschile? Oltre agli uomini, abbiamo a disposizione per il rinnovamento della politica solo le donne, per provare a uscire dalla perenne crisi in cui il polifemico sguardo maschile ha cacciato la gestione economica, politica e religiosa della società, compresi gli stessi uomini.
E poi, se le candidate e le amministratrici scelgono un profilo basso rispetto alla propria differenza, perché le elettrici dovrebbero fare il contrario di quello che fanno queste donne che aspirano al o gestiscono il potere? E perché invece ci si aspetta dalle elettrici il contrario e se non accade si è deluse?
I prodotti originali di solito affascinano di più e comunque sono più chiari e comprensibili e la relazione è più diretta. Poi ci si può accontentare e a volte persino si spera ma è un’altra storia. Forse queste donne di potere si leggono come un ponte , tra il modello maschile e quello femminile della differenza,ma questo secondo modello nei partiti non è ancora visibile e il loro ponte non li può collegare. Hanno delle responsabilità, però, nei confronti delle donne che vivono in modo differente dagli uomini il loro stare al mondo nel mondo, se questo differenza non emerge nel loro fare al potere, per uscire dalla crisi di senso della politica. Quante volte mi sono sentita chiedere dagli uomini cos’è che le diversifica quando governano?
C’è anche un’altra strada che sta ritornando in discussione per affrontare la differenza di genere nella rappresentanza partitica ed è la proposta di Luce Irigaray : la coppia di vertice. Ma anche questa è un’altra storia, da indagare e intrecciare con quella del 50 % che, guarda caso, la contiene comunque, addirittura al vertice. Dentro, di certo, vi è l’ idea di una continua relazione tra i sessi ma soprattutto non vi è, per un sesso solo in cerca di potere sulla vita, la possibilità dell’assunzione prometeica della salvezza del mondo.

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