Su “il Quotidiano”, giornale di Cosenza, è apparsa lunedì 21 maggio, con titolo di apertura in prima pagina, una intervista della ex sindaca Eva Catizone, che invita uomini e donne dei Ds , della Margherita e di altre forze politiche, a seppellire vecchi rancori e a disporsi a un cammino comune per dare vita al Pd, non un “nuovo partito, ma un partito nuovo”. Eva, che aveva dovuto farsi da parte nella politica calabrese dopo la tempestosa relazione con il dirigente ds Adamo, dal quale ha avuto un figlio che ha pubblicamente voluto tenere con sé, parla nelle vesti di segretaria regionale di un altro neonato: il Pdm, partito democratico meridionale, fortemente voluto dal presidente della regione Agazio Loiero, sembra con la benedizione dello stesso Prodi.
Al vertice di un partito destinato a durare pochi mesi – fino alla costituzione del Pd -ci sono altre sei donne. E sullo stesso quotidiano l’economista Domenico Cersosimo commenta che “sei donne sono un valore in sé”. “Sei donne al comando – scrive – un segnale forte da un partito minimo… Sei donne ai vertici sono un bene in sé… Una coordinatrice regionale (Eva) polarmente contrapposta ai circuiti tradizionali della politica degli apparati, al ceto politico che si autoriproduce all’infinito. Una novità “a prescindere”…”.
Dunque non solo il nuovo presidente della Francia – uomo che non sembra immune da un decisionismo “macho” (certo messo sotto scacco non solo dall’avversaria Sègoléne, ma ancor più dal signorile distacco della moglie Cecile) – scommette sul ruolo rinnovatore della presenza femminile ai vertici della politica. Ma anche dalla regione dell’italico Sud, dove si penserebbero diffusi atteggiamenti da vecchio maschilismo, arriva la notizia di questo investimento sulle donne da parte di un ceto politico maschile che avverte acutamente la propria crisi.
Dunque sarà il governo delle donne a salvare la politica?
Se ne è discusso in modo vivace sabato 19, alla Casa delle donne di Roma, a proposito dei due numeri delle riviste “Via Dogana” e “Leggendaria” che al tema sono dedicati. Bia Sarasini ha raccontato come nell’inchiesta sulle “Capitane coraggiose” di Genova e della Liguria, lei e Silvia Neonato si siano imbattute in una presenza sociale molto diffusa di donne in posizioni importanti, ma prive di “parole per dire” l’opportunità di un salto di pratica politica comune, di desiderio e di progetto per accedere ai posti di responsabilità politica, in una città dove tra l’altro per la prima volta si prevede che una donna – Marta Vincenzi – sarà eletta alla carica di sindaco (nei suoi manifesti “il sindaco” diventa, con una cancellatura rosa sull’articolo, “la sindaco”).
Un gesto linguistico-propagandistico che che evoca in qualche modo il contenuto dell’articolo di Lia Cigarini e Luisa Muraro “Questo femminismo non ci basta”: a Milano già tutte le cariche importanti della politica e del governo della città sono ricoperte da donne, ma questo si è visto poco e poco è cambiato, per questo motivo, in una città dove l’autorevolezza e la presenza femminile nella società è invece molto forte.
E a Roma Lia Cigarini ha avvertito: badate che questa presenza femminile nei governi della rappresentanza potrebbe voler dire soltanto che il “potere vero” si sposta altrove, per esempio nei santuari della finanza (ancora rigorosamente monosex al maschile). E’ vero che la democrazia rappresentativa conosce una crisi drammatica, ma questo fatto “riguarda prima di tutto gli uomini”. Non sono loro che l’hanno inventata e gestita sino a ora? Per Cigarini ciò che conta è “la pratica politica” capace di significare la differenza sessuale, che è sinonimo di libertà.
Ma quale “strategia” darsi?
Se lo è chiesto Letizia Paolozzi: per lei non è negativo questo “movimento” che espone le figure femminili sulla scena della politica. Ma questo dovrebbe significare la differenza. Cosa che d’altra parte non può essere imbrigliata in definizioni troppo rigide. E poi: come reagiscono gli uomini? Che cosa dicono sulla paternità, per esempio, di fronte a una discussione sulla famiglia così accesa?
Quanto a strategie e pratiche, Ida Dominijanni ha criticato duramente la proposta (anche legislativa) del 50% di donne e uomini nella rappresentanza: sarebbe un abbandono della posizione del femminismo italiano sulla differenza, un “autoazzeramento simbolico”. D’altra parte la presenza delle donne in alcuni luoghi della politica non può autorizzare un “fare sconti” alla sua crisi, ma anzi impone l’esercizio del conflitto e del “chiedere conto” dell’azione di queste donne.
Anna Maria Crispino, pur convenendo sulla critica al 50%, non crede che sia “irrilevante” la presenza delle donne, e passa a una critica concreta: se Sègoléne ha perso forse è stato anche perché si è mostrata meno libera e autonoma rispetto alla propria parte politica di quanto non abbia saputo fare l’”uomo nuovo” Sarkozy.
Anche Bianca Pomeranzi – che invece difende, quantomeno come “non dannoso”, il 50% – si chiede quanto le “icone femminili” nella politica diano il senso del cambiamento.
Tra le altre intervenute, Raffaella Lamberti ha osservato come il fatto che a Bologna nel governo locale ci sia già il 50% di donne non abbia prodotto particolari cambiamenti: d’altra parte sarebbe giusto per le donne disinteressarsi della crisi della democrazia e delle istituzioni?
La discussione, c’è da scommettere, continuerà tra le donne.
Credo però che non potrà essere elusa dagli uomini. Se è vero che la democrazia è un’invenzione maschile la cui promessa universale finora è stata negata e delusa, sarà prima di tutto loro compito chiedersene il perché. Un embrione di questo interrogarsi è emerso in questi mesi attorno all’appello contro la violenza sulle donne diffuso nell’autunno scorso: una riflessione che investe anche le parole “libertà” e “democrazia” torna in un breve testo (qui riprodotto) che invita i firmatari di quel documento e tutti gli uomini interessati a ritrovarsi il 9 giugno a Bologna, per proseguire la riflessione e mettere in campo nuove iniziative.
Non credo però che una soluzione – ammesso che una soluzione esista – possa essere costruita senza un intreccio tra relazioni maschili e femminili, nel segno di un desiderio di riconoscimento e di libertà. Capace di agire il conflitto e di non dimenticare le proprie responsabilità.