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relazioni politiche, dal quartiere al mondo

Le Autorevoli1/ Un concentrato di autorevolezza

13 Aprile 2012
di Ritanna Armeni

Il numero 92 della rivista Leggendaria (www.leggendaria.it) è dedicato alle Autorevoli, ovvero le politiche italiane ed europee che stanno decidendo i nostri destini. Analisi e riflessioni sul nuovo corso della politica e in attesa delle prossime elezioni amministrative. Nel sito pubblichiamo gli articoli di Ritanna Armeni, Anna Maria Crispino, Monica Luongo, Bia Sarasini.

Il 20 marzo verrà invece presentato alla Casa Internazionale delle donne di Roma, alle 18.30, il numero 91 della rivista, dedicato alle Giovani Guerriere.

L’Italia non è certo un paese che può vantare una tradizione di donne ai posti di comando, di donne che decidono e governano. Nelle scorse settimane abbiamo perciò assistito a una strano e straordinario avvenimento. La principale, più controversa e più dolorosa questione politica e sociale, il lavoro (che al momento in cui scrivo pare sia in dirittura d’arrivo per un accordo), è stata posta nelle mani di tre donne: Elsa Fornero, ministro del Welfare e delle Pari opportunità, Susanna Camusso segretaria della Cgil, ed Emma Marcegaglia, presidente di Confindustria. Così all’aspettativa  generale se ne è aggiunta un’altra: le tre donne si sarebbero comportate in modo diverso dagli uomini? avrebbero saputo dare al loro rapporto una valenza che lo distinguesse da quello di tre uomini impegnati sugli stessi problemi?

Non so se questo sia avvenuto. Tenderei a pensare di no. E non sarebbe la prima volta. Alcuni anni fa, per un’altra  stranezza  della storia,  Milano si trovò ad avere nei posti di comando solo donne. Letizia Moratti era sindaco, Susanna Camusso era segretaria della Cgil Lombardia, Diana Bracco presiedeva l’Assolombarda, Livia Pomodoro era presidente del Tribunale. Nessuno se ne accorse, perché quelle presenze non avevano prodotto alcun cambiamento. Come mai, si chiesero su Via Dogana, storica rivista del movimento femminista, Lia Cigarini e Luisa Muraro, nessuno ne parla, nessuno dà segno di questo cambiamento, né le  stesse protagoniste, né le sostenitrici della parità? La risposta per le due femministe della differenza era semplice. «Le donne – scrissero – erano al potere ma agivano come gli uomini, maschili erano i modelli di comportamento perché come sosteneva forse con semplicità, ma efficacemente Hannah Arendt, le donne a comandare non si sentono bene».

Eppure qualcosa appare cambiato. Non nel modo che molte di noi avevano immaginato o pensato, non nel comportamento delle tre donne in questione, ma è cambiato. Che cosa esattamente? Ha colpito che a decidere fossero tre, non una, che fossero impegnate insieme a dirimere una questione così controversa. Non abbiamo visto, in queste settimane, una donna al vertice, autorevole, decisiva, ma sola nella nello svolgimento delle sue funzioni, ma una concentrazione di autorevolezza femminile concretamente impegnata sul governo del lavoro. La differenza del messaggio è tanta. Una  donna al vertice è  un’eccezione, un modello da guardare con orgoglio e ammirazione, qualcosa a cui ispirarsi, ma che certo non è facilmente raggiungibile. Quando le donne sono tre, sono così evidentemente diverse e devono risolvere una questione importante e concreta sul quale hanno pareri differenti e contrastanti, e sulla quale lo scontro può essere molto duro, il quadro cambia. Loro diventano un esempio non più un modello. Non sono, non possono essere perfette, irraggiungibili, come i modelli, appunto, all’opposto sono assolutamente criticabili, dicono molte cose discutibili, fanno qualche sciocchezza, hanno poco carisma e comunque – si vede –  che non è il carisma, né la dimostrazione del potere che loro interessa.

Proprio per questo incrinano sia il  simbolico maschile che ammette anche l’eccezione, sia quello femminile che cerca il modello. Entrambi per la prima volta hanno fatto i conti con la normalità dell’autorevolezza femminile, col fatto evidente che di donne autorevoli ce ne sono ormai molte e diverse. In questo senso Elsa Fornero, Susanna Camusso ed Emma Marcegaglia sono davvero pienamente rappresentative di una autorevolezza diffusa e comune. Un’autorevolezza che può permettersi – finalmente –  di non aver paura dei propri limiti e delle proprie carenze. E di esprimersi in modo differente.

Susanna Camusso, laburista e femminista

Susanna Camusso si definisce femminista e del femminismo e dell’analisi del lavoro femminile ha fatto la bussola della sua vita. È consapevole del fatto che «il modello dell’organizzazione del tempo e del lavoro rimangono e vengono declinate a misura maschile», del fatto che sul lavoro femminile la elaborazione è stata scarsa. Che il lavoro oggi  «viene descritto e valutato su due piattaforme parallele diverse, quella del vissuto delle donne e quella usata dalla politica e dall’economia», e che «solo quest’ultima  gode del crisma della scientificità». Le battaglie sindacali, quando era segretaria della Cgil lombarda, non le hanno impedito di impegnarsi in lotte femministe. La sua adesione ai principi e ai valori del movimento operaio non è entrata in contrasto con la cultura femminista. È stata una delle principali animatrici, ad esempio, di Usciamo dal silenzio”, la mobilitazione lanciata  fuori da schemi di partito o di schieramento in difesa della legge 194 e della autodeterminazione della donna. Ha appoggiato la battaglia e la mobilitazione di “Se non ora quando”. Susanna è la massima dirigente di un sindacato, la Cgil, che come lei stessa ha detto, è «un’oasi in un paese già maschilista». Un’oasi nella quale in tutti gli organismi dirigenti al centro e in periferia la rappresentanza maschile e femminile non può essere inferiore al 40 per cento. E in segreteria insieme a lei ci sono donne che contano. Tante quanti gli uomini.

Il mondo del lavoro e il mondo delle donne convivono apparentemente senza contraddizione in questa donna che vuole apparire dura e  riesce – è riuscita – a far dimenticare a tanti uomini diffidenti che lei  può guidare il più grande sindacato italiano come e meglio di un uomo  Salvo ricordare a gli stessi uomini quando trascurano, magari da sinistra,  la condizione delle donne, che lei è una donna Allora laburismo e femminismo si intrecciano, gli occhi chiari di Susanna diventano gelidi, e il suo interlocutore – maschio o femmina – riceve una risposta sferzante.

 

Emma Marcegaglia, donna malgrado se stessa

 

Emma Marcegaglia è la prima donna dopo 26 uomini alla presidenza della Confindustria, ma non ha nulla a che fare con il femminismo (il suo mandato scade a maggio). Diciamo pure che, quando nelle interviste, si fa rifermento alla condizione femminile, mostra una certa insofferenza. E non ha mai, almeno ufficialmente, mostrato un interesse particolare per le imprenditrici né ha valorizzato il crescere nella crisi delle capacità  femminili.

Nelle biografie, apparse sui giornali dopo la sua nomina, è evidente che la sua lenta e lunga marcia verso il posto di comando in Confindustria si è snodata per oltre vent’anni senza la rivendicazione di alcuno specifico femminile e tanto meno di alcuna quota rosa. Del resto neppure la Confindustria ha mai enfatizzato il fatto di avere al suo vertice una donna. Emma alle quote rosa è sempre stata contraria e quando il Parlamento ha discusso di una legge che garantisse maggiore presenza femminile nei consigli di amministrazione delle aziende non ha esitato a dichiararsi contraria. Cura un’immagine di sé femminile e in alcuni casi anche sexy. Faccia seria, dichiarazioni forti, ma orecchini vistosi, gonne corte e tacchi a spillo. È esponente di quella emancipazione inconsapevole, ma fortissima, che si manifesta nel decisionismo e nella continua dimostrazione di essere in tutto e per tutto uguale a un uomo. Se non migliore. Al quale si aggiunge una bella dose di pragmatismo, un rifiuto della retorica della politica.

Se nel mondo dell’imprenditoria si è cercata in questi anni la valorizzazione delle donne manager e si è raggiunta per legge la quota  di genere nei consigli di amministrazione delle aziende non è stato certo per merito di Emma e del mondo imprenditoriale. Lei è una donna che non vuole sapere di esserlo.

 

Elsa Fornero. Diventerà Lady Castle ?

 

A molte donne piacerebbe che Elsa Fornero fosse la nuova Lady Castle, il ministro del lavoro laburista che, anche contro il suo partito e le potenti Trade Unions, accettò e promosse la rivendicazione di parità salariale portata avanti dalle operaie della Ford. Ma finora Elsa Fornero non ha mandato alcun messaggio di rupture. La sua è una figura complessa nella quale convivono due anime che non sempre raggiungono un’armonia e spesso manifestano contraddizione e ambiguità. Come è avvenuto con quelle lacrime nella conferenza stampa in cui annunciava i tagli alle pensioni. Ha origini operaie e si è fatta da sé. Questo sostanzia una parte della sua anima, quella che la fa piangere di fronte all’annuncio dei sacrifici per chi già ha poco, che la fa insorgere di fronte ad alcuni atteggiamenti palesemente maschilisti. Si irrita se si mette il “la” davanti al suo cognome, non vuole che si parli di lei  come “la Fornero”, è Fornero e basta come Monti non è “il” Monti e Passera non è “il” Passera. Non riceve la delegazioni di studenti quando scopre non c’è fra loro neppure una donna. Parla – per ora ci sono solo parole – della difficile condizione delle donne sul mercato del lavoro e promette di intervenire sull’ignobile pratica delle dimissioni in bianco. Ha discusso della Fiat prima con Maurizio Landini, leader della Fiom che con Sergio Marchionne, amministratore delegato del Lingotto.

Ma poi c’è l’anima della tecnica, che è convinta delle scelte sociali ed economiche dei grandi centri finanziari, che pensa di poter mettere a posto tutto sulla base di numeri, cifre e calcoli di compatibilità, che ha ripetuto «l’articolo 18 non è un tabù» o che «il governo andrà avanti anche se non ha l’accordo con le parti sociali». A volte sembra che per Elsa Fornero non ci sia differenza fra numeri e persone, ma poi fa una sciocchezza, dice una frase sbagliata e si vede che lei è una persona.

Sempre in contraddizione, sempre decisa, sempre incerta. Elsa lascia senza risposta la domanda che in molte e molti continuano a farsi: Fornero è la più intelligente o la più diligente dei ministri del governo Monti? È solo la  più volenterosa o anche la più valorosa? Certamente è entrata in un mondo nuovo, quello della politica, provando e mostrando grande curiosità e voglia di sperimentarsi. In questo è davvero una donna.

 

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