Pubblicato sul manifesto il 30 gennaio 2024 –
Ho letto con un certo orrore – su La Stampa di domenica – il testo firmato dal ministro degli esteri italiano Tajani e dal presidente del Partito popolare europeo Manfred Weber che chiede di «andare avanti» sulla strada di una “Difesa comune” della Unione europea. Citano in proposito un sondaggio secondo il quale 7 cittadini su 10 chiederebbero la stessa cosa. Il “popolo”, dunque, si sa già che è con loro.
Naturalmente non sorprende che da politici a dir poco moderati venga una simile richiesta. Sfidando la reazione di qualche amico e compagno, trovo che il problema dovrebbe essere affrontato e discusso seriamente anche sinistra. Inquietante è, per così dire, l’ordine del discorso in cui la tesi viene svolta.
Si parte dal fatto che l’invasione russa dell’Ucraina, la “guerra di Gaza” e gli attacchi alle navi mercantili nel Mar Rosso «hanno aperto gli occhi definitivamente a tutti i cittadini europei». Ma che cosa avrebbero visto tutti questi occhi aperti? Un resoconto dello sguardo lo si cercherebbe invano. Si capisce che ci sono molti nemici in agguato, e – vedi caso – si ricorda che Cina e Russia hanno di molto aumentato la spesa militare… dopo di che il ragionamento è tutto in termini economici (investire di più nelle armi) tattico-militari (coordinare gli armamenti e gli eserciti esistenti) e tecnico-scientifici (nvestire nella ricerca, sempre a scopi militari).
Insomma, si parla di carri armati, ma non di che cosa possa esserci nelle menti e nei cuori delle persone al loro interno che – nonostante robot e intelligenze artificiali – restano destinate a uccidere e a essere uccise.
Che poi una identità politica e anche un potere militare “europei” presupporrebbero una esistenza molto più evidente di una statualità europea, possibilmente democratica, secondo i sacri principi che in genere rivendichiamo dalle nostre parti, non sembra argomento da trattare in questa sede. L’unico accenno è all’esigenza di superare il meccanismo delle decisioni all’unanimità nei vertici della Ue: forse proprio nel principale caso – fare o non fare la guerra – in cui prima di eliminarla sarebbe meglio pensarci un poco. Ma tanto la sostanza del problema è chiarita alle prime righe: «La stella polare è la Nato». E tanto basti.
Meno male che, sullo stesso giornale, ho trovato qualche conforto, ieri, nelle parole del Papa. Nella prima parte della intervista raccolta da Domenico Agasso, Francesco ripete che «la guerra è sempre e solo una sconfitta. Per tutti. Gli unici che guadagnano sono i fabbricanti e i trafficanti di armi. È urgente un cessate il fuoco globale: non ci stiamo accorgendo, o facciamo finta di non vedere, che siamo sull’orlo dell’abisso».
Ma ciò significa, incalza il giornalista, che non esiste una “guerra giusta”? Se i ladri entrano in casa e ti aggrediscono – risponde il Papa – ci si difende. «Ma non mi piace – aggiunge – chiamare “guerra giusta” questa reazione, perché è una definizione che può essere strumentalizzata (…) per favore parliamo di legittima difesa, in modo di evitare di giustificare le guerre, che sono sempre sbagliate».
Qualcuno salterà su a dire che sono distinzioni capziose. Credo invece che l’uso delle parole sia essenziale per orientare non solo i pensieri ma anche i comportamenti. E il giudizio sui comportamenti.
L’esempio più attuale e spaventoso dovrebbe essere davanti a tutti quegli occhi aperti da cui siamo partiti. Lo Stato di Israele avrà il diritto di difendersi se subisce un pogrom orrendo come quello di Hamas. Ma dovrebbe farlo in modo legittimo. Uccidere in modo indiscriminato migliaia e migliaia di civili e distruggere le loro città certamente non lo è.