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Microcritiche / Un Anderson rigorosamente galattico

4 Ottobre 2023
di Ghisi Grutter

ASTEROID CITY – Film di Wes Anderson. Con Bryan Cranston, Edward Norton, Tom Hanks, Scarlett Johansson, Jason Schwartzman, Jeffrey Wright, Tilda Swinton, Adrien Brody, Live Screiber, Hope Davis, Margot Robbie, Maya Hawke, Steve Carell, Jeff Goldblum, Willem Dafoe, Rita Wilson, Hong Chau, USA 2023. Musiche di Alexandre Desplat, costumi di Milena Canonero e fotografia di Robert D.Yeoman.

Nella sequenza iniziale in bianco e nero del film “Asteroid City”, il narratore (interpretato da Bryan Cranston) spiega al pubblico che ciò cui si sta per assistere, altro non è che la rappresentazione televisiva di quella che fu l’ideazione e la messa in scena, dell’omonimo spettacolo teatrale del drammaturgo Conrad Earp (interpretato da Edward Norton), riadattata dallo sceneggiatore Schubert Green (interpretato da Adrien Brody). Il ruolo della musica nel film – scritta dall’immancabile pluripremiato Alexandre Desplat – è di fondamentale importanza perché ne svela i retroscena.
Anderson sembra destrutturare il cinema, ritornando a una sommatoria di quadri plastici, al teatro nel cinema e al cinema nel teatro, in più c’è la televisione indisponente, colorata e chiassosa.
I film di Anderson sono esercizi di stile ben architettati con un tocco multimediale e poetico-surreale: sconnessioni logiche, colorazioni bizzarre, impaginazioni cervellotiche, fusion di storie spesso slegate o sovrapposte. I suoi film sono interpretati da molti attori famosi, talvolta li ritroviamo in piccole parti, quasi dei camei, spesso sono malretribuiti (paga minima sindacale), ma fedeli al regista della poetica de-costruttivista.
Così racconta Wes Anderson: «Pensavo ad attori come Paul Newman e Joanne Woodward, a commediografi come Sam Shepard e Arthur Miller. Pensavo, girando nel deserto, ai western in Cinemascope. La bellezza del film consiste proprio nella nostalgia per questo periodo della storia americana, quando registi come Elia Kazan e attori come Marlon Brando e James Dean cambiarono lo stile di recitazione».
Siamo nel 1955 nella cittadina di Asteroid City – un’immaginaria cittadina americana nel deserto del Nuovo Messico – dove si svolge un convegno di astronomia – una convention di giovani scienziati in erba – conosciuto come Junior Stargazer. La cittadina si chiama Asteroid City perché lì migliaia di anni prima cadde un meteorite e nell’impatto si aprì un cratere monumentale. Si assiste a un “incontro ravvicinato”, pertanto l’esercito statunitense costringe i testimoni a una quarantena, durante la quale seguiamo vari personaggi: alcuni cercano di fuggire, altri passano il tempo tentando di ritornare alla realtà dopo la visita aliena, riflettendo sulle proprie credenze religiose dopo avere verificato di non essere soli nell’universo.
Difficile, se non impossibile raccontare tutti gli archetipi americani, tutte le storie sovrapposte; posso al massimo citarne un paio: c’è una famigliola il cui padre (interpretato da Jason Schwartzman) è un reporter di guerra – non ha il coraggio di rivelare che la moglie è morta al figlio geniale e alle tre gemelline-streghette e chiede aiuto al burbero suocero Stanley (interpretato da Tom Hanks) che cercherà di arrivare in modo pomposo. C’è la narcisista attrice di successo (interpretata da Scarlett Johansson) che inizia una love story con il reporter ma c’è la scienziata in crisi che fa didattica ai più piccoli, continuando a parlare e a far studiare solo Giove.
Sullo sfondo ci sono le esplosioni nucleari nella vicina base di Los Alamos, il presidio militare Usa trasformato in un laboratorio top secret, reso familiare al grande pubblico dal recente blockbuster di Christopher Nolan “Oppenheimer”.
Avanguardia, memoria storica, fantascienza e nostalgia sono tutti elementi presenti.
Asteroid City” è un film che si fa fatica a seguire: la ricerca della perfezione formale non sembra accattivare troppo il pubblico, o almeno non per tutta la sua durata di 104 minuti.
L’attività di questo regista hipster – tra le caratteristiche dello stile hipster c’è quella di indossare un look segnato da abiti vintage, con un tocco urbano, barba incolta, ma curata – è attualmente in mostra a Milano fino al 7 gennaio grazie alla Fondazione Prada. Lì Anderson, che da ragazzo voleva fare l’architetto, ha progettato il Bar Luce nel 2015 per ricreare un clima della vecchia Milano e forse varrebbe la pena andare a visitarlo.

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