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uomini e donne nella cronaca di tutti i giorni

I corpi e il linguaggio

11 Settembre 2023
di Letizia Paolozzi

Guardo la foto della manifestazione per Rossella Nappini, l’infermiera uccisa a Monte Mario, nell’androne del palazzo dove viveva. Tanti e soprattutto tante per la fiaccolata. Alcune ragazze con un cartello: “Sorella non sei sola”. Bello!
All’inizio, non mi rendo conto della o dello schwa (che non possiedo sul computer) al posto delle a. Ora, questa convenzione ortografica viene utilizzata nel senso di “includere” le persone di ogni genere compresi quelli non binari. Ma viene contrastata nonostante si tratti di un fenomeno di stampo anglosassone. Un amico, terribilmente preoccupato, dice che si vuole “cancellare le donne”.
La filosofa Adriana Cavarero (sul “Foglio” del 16 agosto) in una intervista a Paola Tavella estende il discorso citando la “neolingua”: “Vogliono che non si dica la parola donne ma persone con utero”. La neolingua come emergenza, annuncio della “scomparsa delle donne” (titolo di un libro di Marina Terragni)?
Nonostante la/lo schwa voglia fare dell’italiano un linguaggio che non discrimini sulla base dell’orientamento sessuale. Una operazione verbale (e simbolica certo) per una politica più aperta; un modo di replicare alla inadeguatezza della coppia: uomini/donne (chiamata e maltrattata come binarismo) così da arricchire l’attuale sistema di distinzione maschile/femminile.
Sì, lo so il femminismo della differenza ha sempre pensato e affermato e lottato …. ma non sarà cambiata la società e noi e il femminismo con la società?
Magari, sta nel termine “inclusivo” il problema per chi sente il bisogno di nominare, di mostrare la mutevolezza dell’identità? Del resto un conflitto simbolico sul linguaggio è aperto non da ora: ce lo ricorda Giorgia Meloni, che declama in pubblico “sono una donna, sono una madre..” ecc. ma nei documenti istituzionali ci tiene a essere “il presidente del Consiglio”.
Ma non è solo questo il punto. Per l’ostilità alla/allo schwa azzardo un’ipotesi forse arbitraria.
Il mese di agosto e questi primi giorni di settembre hanno esibito una società marchiata dalla violenza (ultimo episodio a Roma, al Quarticciolo, dove un giovane scippatore è stato massacrato da ragazzi del quartiere) e dalla riaffermazione della brutalità patriarcale. La strage delle donne non si ferma.
Nel tentativo di rispondere a questa catena di morte, la Camera ha approvato il Codice rosso con un inasprimento delle norme. Al quale ci ha abituate l’attuale governo. “Rave illegali, aumentate le pene fino a sei anni. Traffico di migranti, aumentate le pene fino a trent’anni. Violenza di genere, aumentate le pene fino a cinque anni. Violenza contro il personale sanitario, aumentate le pene di un terzo. Violenza contro il personale scolastico, aumentate le pene fino a sette anni. Omicidio nautico, aumentate le pene fino a dieci anni. Reato universale di gestazione per altri, aumentate le pene fino a due anni. Occupazione abusiva di immobili, aumentate le pene fino a due anni. Incendi boschivi, aumentate le pene per i piromani fino a sei anni di carcere. Istigazione all’anoressia, proposta reclusione fino a quattro anni. Istigazione alla violenza sui social, proposte pene fino a cinque anni. Muri imbrattati, proposta reclusione fino a un anno. Acquisto di merce contraffatta, proposte pene fino a un anno. Truffa ai danni di soggetti minori o anziani, proposte pene fino a sei anni. Dispersione scolastica, proposto aumento di pena fino a due anni per i genitori che non mandano i figli a scuola. Baby gang, pene più severe per i minorenni, fino a cinque anni per spaccio” (Claudio Cerasa sul “Foglio” dell’8
settembre)
Dopo le violenze a Caivano, la premier ha deciso, giustamente, di andare di persona al Parco verde. Ne è seguito un decreto-legge che tuttavia lascia aperti molti interrogativi: per esempio, reclusione fino a due anni per la famiglia che non si cura di mandare i figli a scuola, ma che accadrà a quel punto dei figli lasciati completamente soli? Ancora, l’adolescente al quale venga impedito di guardare i siti porno (che possono anche significare un modo, pur mostruosamente distorto, con la donna sempre dominata e umiliata, per capire come si fa sesso), non avrà qualche straccio di amico dotato di cellulare al quale rivolgersi? In cosa può consistere l’ammonimento del questore al giovane spacciatore?
“I minori sono lo specchio delle loro esperienze esistenziali, della famiglia e del contesto, non vengono fuori come i funghi del tutto casualmente” osserva Cristina Maggia, presidente dell’Associazione italiana magistrati per i minorenni e per la famiglia e presidente per il Tribunale dei minorenni di Brescia (sul “Manifesto” del 9 settembre).
La pena non è un deterrente e comunque l’interrogativo più scottante riguarda la parte mancante del decreto sugli effetti sociali e culturali delle diseguaglianze sociali in zone già degradate: povertà, mancanza di relazioni, di lavoro, di verde, di sport, di assistenti sociali, dispersione scolastica (se il ragazzino ha un problema di sopravvivenza, i contenuti della scuola di sicuro non rappresentano un elemento di richiamo); le motivazioni che lo spingono a rinchiudersi in una bolla virtuale.
Quanto al Codice rosso, se è evidente che i processi lunghi avvantaggiano gli aggressori giacché la donna è spinta a ritirare la denuncia (lui magari assume un atteggiamento più calmo; la famiglia di lei spinge a una maggiore tolleranza; le amiche ripetono che va messo al primo posto l’interesse dei figli), sarebbe ancora più importante che questa stessa donna si sentisse tutelata dai magistrati, forze dell’ordine, addetti ai lavori. Dunque, più formazione ma il Codice rosso non se ne occupa.
In effetti, il “New York Times”, nel raccontare l’estate delle violenze in Italia e l’atteggiamento “sciovinista” verso le donne: stupri di gruppo, commenti maschili inadeguati, ha messo in rilievo la colpevolizzazione delle vittime che per le loro “azioni o abbigliamento” sembrano agli occhi di molti magistrati aver provocato la violenza.
Ora, so bene che la violenza si scatena anche contro gli, le omosessuali, i/le trans, ma quella contro le donne sembra occupare simbolicamente, socialmente, politicamente tutto lo spazio escludendo le identità in divenire. Bisogna dedurne che le donne esistono solo in quanto vittime? Non credo perché a Caivano, a Palermo, a Roma, nel Trapanese, le donne sono state uccise, violate per la loro forza, per la scelta di libertà. Semmai, a vittimizzarle è tanta parte del discorso pubblico che fatica a riconoscere la libertà femminile.

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