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Microcritiche / Danzare, un movimento interiore

9 Agosto 2023
di Ghisi Grütter

LA VITA È UNA DANZA – Film di Cédric Kaplish. Con Marion Barbeau, Denis Podalydès, Muriel Robin, Pio Marmaï, François Civil, Damien Chapelle, Souheila Yacub, Mehdi Baki, Francia, Belgio 2022. Musiche di Hofesh Shechter, Thomas Bangalter e Daft Punk, fotografia di Alexis Kavyrchine.

Il regista francese Cédric Kaplish, già autore di documentari sulla danza, ha scritto la sceneggiatura di questo film con Santiago Amigorena e con la consulenza, per la parte danzata, di Hofesh Shechter, coreografo israeliano di danza contemporanea. Il titolo originale, “En corps”, cioè di dentro al corpo, nell’intimo, nel profondo di se stessi, vuole connotare cosa sia oggi la danza.
La coreografa statunitense Martha Graham, infatti, sosteneva che la danza è innanzitutto movimento interiore: dal centro del corpo si espande nello spazio circostante seguendo il ritmo di una musica, le suggestioni del silenzio o i suoni della natura.
Inoltre, Pina Bausch diceva che non le interessava come i danzatori si muovessero, ma che cosa li facesse muovere, spiegando che i ballerini sono portati a «essere radicalmente se stessi» per cui ciò che si vede negli spettacoli non è coreografia, ma un patrimonio umano che giunge dai cuori, dall’esperienza e da una somma di conoscenze.
Con questa premessa vorrei spiegare in parte ciò che avviene a Élise (interpretata da una bravissima Marion Barbeau) che durante il balletto de La Bayadère di Ludwig Minkus all’Opera de Paris cade e si frattura l’osso del piede. Complice della caduta il fatto di aver scoperto che il suo ragazzo, un altro ballerino, la tradiva dietro le quinte con un’altra.
Purtroppo la lesione è stata più grave di ciò che si potesse pensare e, oltre a dover stare immobile per mesi, si profila un eventuale intervento chirurgico che la bloccherebbe per due anni e forse non potrebbe più esercitare l’attività di ballerina classica.
Élise era stata introdotta dalla madre al ballo piccolissima; lei l’accompagnava ad esercitarsi ogni giorno subito dopo la scuola e, piena di talento, viveva in funzione della danza. Anche quando la madre morì, Élise continuò ad allenarsi, accompagnata dal pur recalcitrante padre.
A 26 anni Élise è pronta a rinunciare a tutto, vuole riprendersi in mano la sua vita e decide di seguire un’amica e il suo compagno, cuochi itineranti, in un albergo in Bretagna. Questo è una maison d’artists tenuta dalla calda e materna Josiane (interpretata da Muriel Robin,) si alternano gruppi musicali a gruppi di danza contemporanea guidati dallo stesso Hofesh Shechter.
Quello che non saprei definire è se il regista, in “En corp” volesse sottolineare questa parte volitiva della ragazza, in cui è stata capace di buttarsi tutto alle spalle (storia d’amore tradita e danza classica) per intraprendere una nuova vita e avere una seconda possibilità di essere felice, oppure – a ciò io protendo – il fascino di una scoperta affine (differenza e analogie) che riesce a coinvolgerla ugualmente. La magia della musica c’è, cambia decisamente il genere.
Élise nell’incontro con questo tipo di danza scopre un mondo che non aveva mai considerato prima, passando dalla leggerezza aerea del classico all’ “ancoraggio a terra” della danza contemporanea: istinto, visceralità, immediatezza e conoscenza di sé.
Le scene del ballo sono molto belle e il regista mostra una padronanza stilistica notevole, specialmente ricordando che i suoi successi maggiori sono stati film umoristici come “L’appartamento spagnolo” del 2002 e “Rompicapo a New York” del 2013, peraltro molto parlati. Anche le fotografie (Alexis Kavyrchine) sono estremamente suggestive: passano da riferimenti di quadri di Edgar Degas con prospettive inusuali, a riprese di hip hop metropolitano.
Pur avendo visto molti film sulla danza, mi pare che questo abbia un’eleganza e una raffinatezza (ad esempio nella gestione dei silenzi) rari non facilmente riscontrabili negli altri del “genere”.

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