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Microcritiche / Contro la filosofia del carcere

14 Giugno 2023
di Ghisi Grütter

Il carcere di Barcellona

PRIGIONE 77 – Film di Alberto Rodriguez. Con Miguel Herràn, Javier Gutiérrez, Jesùs Carroza, Catalina Sopelata, Fernando Tejero, Xavi Sáez, Víctor Castilla, Spagna 2022. Fotografia di Alex Catalán

Prison 77” è un film spagnolo, apparentemente un classico prison movie così come la cinematografia americana ne ha proposti di indimenticabili: dalla “Grande fuga” del 1963 con Steve McQueen alla Fuga da Alcatraz del 1979 con Clint Eastwood, da “Birdman of Alcatraz” del 1962 con Burt Lancaster, al “Miglio Verde” del 1999 con Tom Hanks.
Ma questo film vuole essere anche un film politico, la rappresentazione di una presa di coscienza di molti carcerati che portarono alle battaglie verso le ingiustizie e le vessazioni.
È il 1977, Francisco Franco era morto 2 anni prima liberando la Spagna da 40 anni di dittatura. Ma mentre la società spagnola è in pieno cambiamento, nelle carceri non si sente alcuna variazione, specialmente al Calcel Model, il carcere di Barcellona dove sono assegnati i detenuti in attesa di giudizio.
Le “istituzioni negate” (carcere, manicomio ecc.) sono sempre le ultime a sentire gli effetti della democrazia e del cambiamento, troppo spesso in mano a piccole figure che amano solo il comando e la violenza.
Così il film narra la presa di coscienza del ragazzo Manuel (interpretato dal ventisettenne Miguel Herràn, amato attore della serie “La casa di carta” vedibile sulla piattaforma Neflix), accusato di essersi appropriato di una notevole somma di danaro della ditta dove faceva il contabile. Incolpato ingiustamente sarà gettato in carcere, maltrattato e picchiato esattamente come gli altri, magari accusati di omicidio.
Ma Manuel non sarà solo contro le violenze degli agenti, viene subito a contatto con un gruppo politicizzato che rivendica l’amnistia.
Tratto da una storia vera, il regista fa perdere un po’ di mordente al film nel suo eccessivo racconto di dettagli, seppur esplicativi come ad esempio, le braccia insanguinate auto-tagliate con lamette dai detenuti per protesta, oppure i fogli-volantini gettati all’esterno dalla cella e così via.
Prenderà coscienza perfino Pino (interpretato da Javier Gutiérrez), il compagno di cella di Miguel, un duro che si era costruito all’interno del carcere uno spazio di potere e godeva di un trattamento speciale, cui rinuncia man mano per stare dietro a Manuel e per aggiungersi ai carcerati in lotta.
Belle sono le riprese di quel carcere nato sul modello del panottico carcerario di Bentham. Il panopticon non era solo una idea architettonica: prima di essa c’è un’idea filosofica, una forma di pensiero per esercitare il controllo sulle persone. La guardia al centro può vedere tutti, ma i detenuti possono vedere solo lui. Il principio della propaganda moderna è esattamente la stessa forma-pensiero: siamo individui che riescono a comunicare ed interagire sempre meno tra loro. L’isolamento e il sospetto sono diffusi ad ogni livello.
Con il nuovo governo democratico non passò una vera propria amnistia generale, ma sappiamo che nel 1978 in Spagna ci sono state 79 evasioni e 175 detenuti sono scappati. Li hanno lasciati andare?
Tornando al film posso dire che è un po’ lungo e, ovviamente violento, forse il regista per raccontare con realismo le varie peripezie del Cobel (gruppo dei prigionieri in lotta) perde un po’ di pathos e di suspence. È comunque un film che mi sento di suggerire agli spettatori in una piovosa primavera romana, assente di titoli di film accattivanti.

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