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Il (non) senso del lavoro

5 Maggio 2023
di Letizia Paolozzi

Sindacati convocati la domenica sera per un provvedimento presentato il lunedì mattina del Primo Maggio. Il governo si presenta senza conferenza stampa ma con video-lezione nella quale la presidente del Consiglio illustra la sua “mano tesa”.
Niente taglio delle tasse; piuttosto una diminuzione dei contributi. Però il beau geste vola sulle ali della propaganda.
Cosa contenga il decreto si può solo intravvedere dato che ancora non è stato pubblicato. Bisogna procedere a tentoni: sullo sfondo l’inflazione che erode il potere d’acquisto. Si vede a occhio nudo l’allargamento della precarizzazione attraverso la liberalizzazione dei contratti a termine. Il governo intende dare qualcosa ai lavoratori dipendenti meno retribuiti ma garantiti, e ai piccoli imprenditori (attraverso un largo uso dei voucher), vuole superare il Reddito di Cittadinanza. Contentino: chi partecipa a programmi formativi e utili per la collettività per un massimo di dodici mesi riceverà un beneficio economico pari a un importo mensile di 350 euro. Non saranno troppi?
Intanto, i poveri sono scomparsi dal radar italiano.
Vero è che il panorama del lavoro non si presenta bene. Se ne trova meno. Le macchine si sono sostituite alle mani; sta arrivando l’economia green e tra poco l’intelligenza artificiale.
Mal pagato, con tanto nero, tanta incertezza, fatica, ripetitività, scompare la centralità che un tempo aveva, si affaccia la voglia-scommessa di lasciarlo. Crescono le dimissioni (dopo la pandemia, non solo negli Usa, anche in Italia).
Uomini e donne provano a riconvertirsi per vivere meglio, per migliorare la quotidianità, per cambiare o per trovare un senso ai tanti mestieri che non ce l’hanno, che sono stupidi (i “Bullshit Jobs” di David Graeber)?
In Francia non vogliono saperne della riforma Macron sulle pensioni. C’è di mezzo un metodo offensivo (ricorso all’articolo 49, comma 3, che consente di evitare di fatto il voto parlamentare). E c’è la scoperta del prestatore d’opera che non lo fa solo per guadagnarsi il pane; il suo lavoro pretende un “dopo”, appunto la pensione come diminuzione della pena del lavorare.
Mi obiettano: Beata te che critichi il lavoro (avendolo) e non sai come si vive non avendolo! Tuttavia, nella crisi sofferenza e aspirazioni si tengono insieme. D’altronde, il corpo al lavoro nell’’ “immateriale”, nella trasformazione digitale, finora la crisi non l’ha risolta.
Crisi gonfiata dalla pandemia, dalla guerra, dalle emergenze ambientali, nella quale il singolo si sente stretto in un angolo dal “capitalismo cannibale” (Nancy Fraser). Siamo in un tempo nel quale ognuno pensa ai problemi suoi senza troppo guardarsi intorno. Ognuno prova a sfangarsela, a sopravvivere invece di provare a rideclinare il Noi collettivo.
I sindacati chiamano a mobilitarsi contro la precarietà con tre grandi manifestazioni a maggio (a Bologna, a Milano il 13, a Napoli il 20). Nella precarietà vanno comprese le “morti bianche”, gli infortuni sul lavoro, l’insicurezza insita in molte imprese piccole, traballanti.
La video-lezione della presidente del Consiglio ha avuto un finale a imitazione dell’”Hey ho!” disneyano di “Biancaneve e i sette nani”: “E adesso, al lavoro!”.
Bé dipende dal tipo di lavoro, ovviamente.

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