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relazioni politiche, dal quartiere al mondo

Nun me piace o’ presepe…

7 Novembre 2022
di Letizia Paolozzi

Arrivano le prime gesticolazioni identitarie del governo di Giorgia Meloni.
Già in precedenza “il presidente”, come in spregio al suo e nostro sesso vuole essere chiamata, aveva annunciato ai vertici europei che “è finita la pacchia” con la risolutezza di chi non ammette repliche.
Sicurezza, certezza, espulsione del dubbio: linguaggio dei politici? In più, come scrive Marco Belpoliti (su La Repubblica del 6 novembre), nei regimi autocratici c’è “un uso performativo delle parole”: Lo so e basta. Se lo dico, significa che è vero.
Nel decreto omnibus il suo governo, anzi, l’ex prefetto Matteo Piantedosi (quello che non si era accorto che Forza Nuova stava per assaltare la sede della Cgil), ora ministro degli Interni, si è immaginato una nuova fattispecie di reato (in Italia la moltiplicazione delle leggi somiglia a quella dei pani e dei pesci): pene durissime per chi organizza feste e raduni con più di cinquanta persone.
Feste e raduni riferite ai rave e alla cultura-sottocultura-controcultura plur: Peace, Love, Understanding, Respect. Bé sì ci si sballa, si ascolta musica techno, si ingurgitano sostanze. A quest’idea del fare festa di migliaia di ragazzi, il governo dice no, la società deve essere altro, la festa deve essere altro.
Dopo le critiche dei costituzionalisti di ogni colore e appartenenza politica, il decreto anti-rave cambierà in parte fermo restando l’asse punitivo ma Giorgia Meloni, sempre nel suo modo categorico (sottintendendo Chi siete voi per dubitarne?) ha affermato: “Rivendico la norma, ne vado fiera”
Nel frattempo, fierezza per fierezza, sull’ “ergastolo ostativo”, tutto resta immutato. Quanto alle carceri, all’alto numero di suicidi, dopo la visita del ministro alla Giustizia, Carlo Nordio, la risposta è stata: “Costruiremo nuove carceri”.
Il reintegro del personale sanitario non vaccinato per opera del ministro della salute, Orazio Schillaci, si può tradurre nella celebrazione della fine di restrizioni (anche illogiche) a scapito però dei più deboli.
E dei più indifesi, i rifugiati ai quali si impedisce di sbarcare sulla terra ferma, con l’eccezione, anzi la selezione dei più fragili. E chi stabilisce l’accoglienza selettiva? Non sono poi tutti naufraghi che hanno diritto a sbarcare in un porto “più vicino e sicuro”?
Ecco, nun me piace ’o presepe e non mi piace il paese che “la democrazia decidente” promessa da Giorgia Meloni disegna.
Non si tratta solo di provvedimenti che vengono lanciati, corretti, rinviati, ma del progetto culturale che ispira questa idea di democrazia.
Un progetto nel quale ci sono vincitori e vinti, considerando vinti gli sconvolti del rave, gli oziosi, i percettori del reddito di cittadinanza, i migranti, i carcerati, le donne che non vogliono figli, gli uomini e le donne che vogliono mettere su famiglia con un/una persona dello stesso sesso.
C’è stata un’apertura di credito per un simile progetto?
Sicuramente, da parte dei media una sorta di affettuosa attenzione nei confronti di Giorgia Meloni perché “l’opposizione fascismo-antifascismo è caduta in disuso; il fascismo è morto e lei non c’entra con quella storia lì data la sua giovane età”. Accompagnando il tutto con la forza del messaggio simbolico di una donna a capo del governo.
Tranne che bisogna stare attenti alla banalizzazione di “quella storia lì”; scappa fuori sempre qualche suggestione che rimanda al nazionalismo più o meno muscolare e suppone di poter ricorrere all’uso mascherato di soluzioni autoritarie.
Bisogna stare attenti perché la democrazia, in Italia, non ha solidissime radici. Troppo frettoloso il mutamento con cui è stata voltata la pagina del fascismo. Sicché i rigurgiti sono sempre in agguato nonostante le spinte alla riconciliazione (“i ragazzi di Salò”) di posizioni inconciliabili, all’addomesticamento della memoria, ai ricordi edulcorati.
Giorgia Meloni ha ringraziato il Papa per l’invito alla concordia. Ma Francesco ha pure detto che “un governo è per tutti”. Non sembra che finora sia questo il proposito del/della presidente del Consiglio e dei suoi ministri.
Quanto alla pace, certo, la presidente del Consiglio l’ha nominata, ma si riferiva a quella fiscale.

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