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Microcritiche / Assassini sul treno-proiettile

15 Settembre 2022
di Ghisi Grütter

BULLET TRAIN – Film di David Leitch. Con Brad Pitt, Joey King, Aaron Taylor-Johnson, Brian Turee Henry, Hiroyudi Sanada, Benito A Martínez Ocasio, Andrew Koji, Micheal Shannon, Bad Bunny, Sandra Bullock, Zaxie Beetz, Logan Lerman, Masi Oka, Channing Tatum, Ryan Reynolds, David Leitch, USA 2022. Musiche di Dominic Lewis, fotografia di Jonathan Sela.

I treni sono sempre affascinanti, se poi sono ipertecnologici, giapponesi e velocissimi, lo sono ancora di più. Perché piacciono più degli aerei? Forse perché hanno le stazioni – sempre meno quelli superveloci – possiedono i sedili dove ci si può sedere gli uni di fronte agli altri, hanno ancora il posto per le valigie e, per me più di ogni altra cosa, attraversano i centri delle maggiori città.
Shinkansen è la rete ferroviaria giapponese ad alta velocità sulla quale passano i JR Pass – detti appunto treni-proiettile – che viaggiano a una velocità che può raggiungere i 320 km/orari in alcuni punti e impiegano per andare da Tokyo a Kyoto – con tre fermate intermedie – solo due ore e quaranta, che sono più o meno la durata del film.
Ma quante cose succedono in questo lasso di tempo sul treno se sono stati messi insieme vari killer professionisti che si rincorrono l’uno con l’altro?
L’action movie di David Leitch ha un ritmo forsennato, usa un cast vasto e d’eccezione, ed è l’adattamento cinematografico del romanzo I sette killer dello Shinkansen di Kōtarō Isaka del 2021. Le vicende non son particolarmente nuove, così come non è originale il miscuglio di dialoghi onirici e irrazionali, mentre le coreografie sembrano tratte da un film di kung fu, le uccisioni splatter dettagliate sono in stile neo-tarantiniano, e le scenografie in quello dei manga. Così come già sentita è la musica leggermente retrò di Saturday Night Fever, cantata in giapponese, che ritma le primissime inquadrature.
Il compito del film è quello di divertire ammiccando ai registi più famosi che trattano della iperviolenza. Oltre al già nominato Quentin Tarantino e di cui alcune citazioni sono esplicite – i flash back sulla neve, i nomi dei fratelli killer quali Lemon e Tangerine, ecc. – troviamo riferimenti ai film del sudcoreano Park Chan-wook (autore di “Mademoiselle” del 2016 e di “Lady Vendetta” del 2005) e del super premiato Bong Joon-ho (autore di “Parasite” del 2019, di “Madre” del 2009 e di “Memorie di un assassino” del 2003).
Il destino è il tema centrale del film che non si accontenta degli effetti visivi delle superfici laccate e della suggestione sanguinolenta, ma cerca di andare oltre, da un lato verso la filosofia, dall’altro verso la psicoanalisi.
Brad Pitt, il cui nome in codice è Ladybug (Coccinella), è un criminale non più giovanissimo, un po’ sfigato, che deve sostituire un collega killer professionista e ha il compito di rubare una preziosa valigetta sullo Shinkansen Hikari. Non ama le pistole e sta in una fase riflessiva di ricostruzione del sé mediante la terapia psicoanalitica. Eternamente in contatto con il suo capo-donna attraverso il cellulare, sembra aver ritrovato il suo giusto cordone ombelicale.
Ma saranno in tanti ad ambire a quella valigetta, attualmente nelle mani dei “fratelli” Tangerine e Lemon. Tutto ciò che avverrà sul treno semivuoto – 6 vagoni di prima classe e 10 di classe turistica – è trattato in modo grottesco, le scene più violente si fermano appena in tempo per non dare troppo fastidio all’osservatore. Gli attori si vestono in mondo variopinto e con grande ironia e di questo è maestro Brad Pitt tra tutti, sempre affascinante anche se invecchiato ed emaciato, il quale snocciola un repertorio di interpretazioni freudiane in stile “Lucy 5 cents” (Charles Schulz in Peanuts).
Il film è ben fatto – forse un pochino troppo parlato – impeccabile la fotografia di Jonathan Sela, spiritosi i costumi di Sarah Evelyn. Il regista David Leitch aveva già dato prova delle sue abilità in “Atomica bionda” del 2017 e in “Deadpool2” del 2018.
Se vi piacciono gli action movies, uscirete da questo film un po’ frastornati ma divertiti. La mia attenta compagna di cinema ha addirittura riscontrato che si ride di cuore ad alcune gag visive degne di Jerry Lewis del “Ragazzo tuttofare” del 1960.

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