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Microcritiche / Moro e la politica italiana, prigionieri di un rebus

31 Luglio 2022
di Ghisi Grütter

ESTERNO NOTTE (parte 1) – Film di Marco Bellocchio. Con Fabrizio Gifuni, Margerita Buy, Toni Servillo, Fausto Russo Alesi, Daniela Marra, Piergiorgio Bellocchio, Gabriel Montesi, Fabrizo Contri, Paolo Pierobon, Vito Facciolla, Italia 2021. Sceneggiatura di Marco Bellocchio con Stefano Bises, Ludovica Rampoldi e Davide Serino. Musiche di Fabio Massimo Capogrosso.

Marco Bellocchio si era già cimentato nel 2003 in un film sul rapimento di Aldo Moro con “Buongiorno notte”: cinquantacinque giorni dal 16 marzo al 9 maggio del 1978 raccontati da “dentro” il covo di Via Gradoli. Qui, invece, lo fa narrando dall’”esterno di Via Gradoli” e cioè quello che avvenne in Parlamento, nel Partito Democristiano, nella Curia, e all’interno della Famiglia Moro. Il regista ha messo insieme quasi sei ore di cinema che andranno distribuite in una miniserie TV.
Qualcuno ha definito “Esterno notte” un lento funerale della Democrazia Cristiana. Per essere lento in effetti lo è, specialmente nel racconto dettagliato giorno dopo giorno del rapimento Moro.
In MicroMega Flavio De Bernardinis fa notare che in “Esterno notte” a un certo punto si intravede il manifesto del film “Anima persa”, di un anno antecedente al tragico evento: «Tratto da un romanzo di Giovanni Arpino, Anima persa è la storia di una sofferenza psichica ed esistenziale che si traduce in una prigionia volontaria dentro un’oscura e tenebrosa soffitta… [Vittorio] Gassman, in un breve monologo, magistralmente recitato, offre allo spettatore la chiave metaforica della vicenda: Cosa fai? Leggi un rebus? Belli i rebus. Bellissimi. Io non li risolvo. Non mi interessa. Però mi incantano lo stesso. Mi incanta la concatenazione tra cose tanto eterogenee: un re, una fattoria con due tori, un pescatore che getta la rete, una ragazza alta accanto a una tomba…A volte penso che mi piacerebbe vivere dentro un rebus». Tutto il “caso Moro” può essere considerato un rebus a tutt’oggi non risolto.
La prima parte del film è splendida: il prologo è di preparazione e di presentazione dei personaggi. Bellocchio narra il lato privato della famiglia Moro, una famiglia meridionale trapiantata a Roma che vive in una casa arredata con brutti mobili piccolo borghesi; mostra l’insonnia di Aldo (uno splendido Fabrizio Gifuni) che non vuole prendere tranquillanti per non diventarne dipendente, il rapporto che ha con la figlia e l’affetto speciale che nutre per il nipotino Luca. Moro è descritto come un tenero e amorevolissimo nonno che quando rincasa tardi si cuoce un uovo a tegamino da solo, per non disturbare gli altri.
Una volta rapito Moro diventa invece un simbolo per tutti: un’icona del male totale per i Brigatisti che gli attribuiscono, in quanto Presidente della DC, anni di malgoverno e di infamie. Invece per il Partito e per tutti i politici diventa un capro espiatorio che Bellocchio evidenzia nella sovrapposizione con Cristo durante la via Crucis della Pasqua. Il Papa (il sempre fantastico Toni Servillo), infatti, lo vede piegato sotto il peso di una croce pesante, incedere ma senza mollare, abbracciando la morte con pacata accettazione. Afferma Bellocchio: «Quell’uomo come Cristo, “doveva morire”. Perché nulla potesse cambiare non solo nella politica, ma soprattutto nella mente degli italiani».
L’apertura di Aldo Moro al Partito Comunista di Berlinguer, non era ben vista dai suoi colleghi di partito molto più conservatori di lui e anticomunisti tout court. Chissà che Moro non fosse diventato un personaggio “scomodo” all’interno della DC?
A mio avviso i punti importanti del film – seppure solo in questa prima parte – sono tre:
a. fondamentale è la chiave grottesca con la quale sono presentati i vari personaggi democristiani dell’epoca: Francesco Cossiga (Fausto Russo Alesi), Giulio Andreotti (Fabrizio Contri), Benigno Zaccagnini, Amintore Fanfani e perfino il papa Paolo VI ormai malato, che morirà subito dopo, durante l’estate di quell’anno.
b. In una buona parte del film il protagonista è Francesco Cossiga e di come vive il rapimento a livello individuale. La bravura dell’attore che lo interpreta (Fausto Russo Alesi) sotto la direzione di Bellocchio, mi ha ricordato il personaggio di Antonio Salieri, in “Amadeus” del 1984 di Milos Forman, che diventa il personaggio principale e narra in prima persona le sue ossessioni per il giovane e geniale Mozart, nella Vienna del Settecento.
c. È da sottolineare l’importante e intenso ruolo della musica (Fabio Massimo Capogrosso) che commenta le immagini fino a diventarne protagonista nei punti salienti.
Spero che la miniserie sia presto trasmessa in TV anche se, come affermava Letizia Paolozzi alla presentazione di un libro sul cinema, temo che «sul piccolo schermo si perderà molto di quell’ambientazione di una Roma cupa e corrotta rappresentata nel film, caratteristica di quegli “anni di piombo”».

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