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relazioni politiche, dal quartiere al mondo

In una parola / Eroi (vivi?) e “ventri molli”

5 Giugno 2022
di Alberto Leiss

Bertolt Brecht ( “Anche l’ira per l’ingiustizia
fa roca la voce. Oh, noi
che abbiamo voluto apprestare il terreno alla gentilezza,
noi non si poté essere gentili…”)

Pubblicato sul manifesto il 31 maggio 2022 –

Non è ancora chiaro, mi sembra, quale sarà l’effetto a lungo termine di questa guerra che già ci appare infinita, orrenda, e suscita sentimenti contrastanti: chi si schiera animosamente da una parte, e chi dall’altra; chi si lascia prendere dalla paura; chi teme conseguenze insopportabili per un tenore di vita già troppo basso e incerto; chi si lascia annichilire da un senso di impotenza. Chi si attiva senza riflettere bene in vista di che cosa…
Ciò che mi scandalizza – è stato il mio mestiere – è la corruzione del linguaggio dell’informazione. È chiaro che Putin è l’aggressore e Zelensky l’aggredito, e che le conseguenze dell’invasione stanno procurando a tutto il popolo ucraino sofferenze indicibili. Non solo le vittime militari e civili, ma le vite o distrutte o messe a dura prova dei milioni che scappano in altri paesi – per lo più donne, bambini e vecchi – o che si spostano all’interno dell’Ucraina in cerca di luoghi più sicuri, cercando di mantenere legami con le persone amate, soprattutto quelle che per un motivo e per l’altro rischiano la vita. Uguale compassione mi suscitano i massacri a cui vanno incontro i soldati russi, spesso giovanissime reclute a quanto pare poco consapevoli della tragedia a cui sono stati assegnati.
Ma veder ripetere la parola “eroi” per chi difende “la patria”, e il capo della Russia costantemente chiamato “lo Zar”, in senso ovviamente dispregiativo, quando non si usano immagini ben più volgari, mi procura un forte disagio. Un’altra espressione abusata è il “ventre molle”. Il rilassamento dei tessuti delle nostre pance in cui staziona il cibo e circolano tanti umori equivoci viene ora attribuito a chi, forse perché ha dubbi e pone domande sul modo di condurre la guerra anche da parte “nostra”, viene sbrigativamente definito filoputiniano. Oppure è tutta intera l’Italia a essere avvisata: se qualcuno esagera a interrogarsi su come arrivare a una tregua, aprire uno spiraglio di pace, piuttosto che con quante e quali micidiali armi “vincere la guerra”, sappia che produrrà la mollezza del ventre che aprirà un varco esiziale ai nemici dell’intero Occidente.
Quando Zelensky, durante l’assedio russo a Azovstal, ha detto che gli “eroi” servono “vivi”, preannunciando l’ordine ai suoi soldati e a quelli del battaglione Azov di arrendersi, ho reagito meccanicamente: ecco forse un lampo di umanità in questo orrore.
L’eroe non è tale se non rischia la vita, e molto probabilmente la sacrifica (i capi di Azov lo avevano promesso: non ci arrenderemo mai!). Ma meglio sarebbe che restasse vivo. E quell’essere vivo è qualcosa di molto più importante dell’essere eroe. La domanda che mi sta a cuore è questa: davvero servono ancora gli eroi?
Il loro tempo sembrava finito. E se ritorna dobbiamo chiederci il perchè.
C’è il passo arcinoto del Galileo di Brecht. Quando Andrea Sarti aspetta l’esito del processo, ed è sicuro che Galileo non abiurerà, esclama: “Sventurata la terra che non ha eroi!”. Poi entra Galileo, che invece ha abiurato, e risponde: “No! Sventurata la terra che ha bisogno di eroi”. Il grande scienziato sopravvive al probabile rogo, e scriverà ancora capolavori teorici che cambieranno il mondo. La sua scelta è stata giusta?
In una prima versione dell’opera questo era l’assunto, ma Brecht, vivendo i nuovi orrori bellici con le atomiche in Giappone, aggiunse una scena in cui Galileo confessa di aver avuto paura della tortura e dichiara che lo scienziato ha invece il dovere di essere coraggioso di fronte al potere.
Ma oggi – dico io – l’eroismo va rifiutato: va inventata la nuova forza capace di farci vivere subito in un mondo non violento, persino gentile…

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