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Microcritiche / Cosa resta della rivoluzione sessuale (a Parigi)

10 Aprile 2022
di Letizia Paolozzi

PARIGI, 13Arr. – Film di Jacques Audiard. Con Noémie Merlant, Lucie Zhang, Jenny Beth, Makita Samba. Adattamento cinematografico dei racconti a fumetti di Adrian Tomine, Amber Sweet e Morire in piedi. Francia 2021-

Tre donne e un uomo per una “ronde” di incontri, abbandoni, conflitti, nostalgie che si svolge nel quartiere delle Olympiades (costruito tra il ‘69 e il ‘74) del XIII arrondissement di Parigi (amato da Michel Houellebecq). Qui gli architetti con le sei torri residenziali private e le due di alloggi sociali, hanno voluto omaggiare Le Corbusier e l’impegno a fondere architettura e bisogni sociali. Anche se gli spazi, gli appartamenti, le case del XIII si accartocciano fino a diventare luoghi di solitudine. Le differenze etniche, sociali, economiche vi intrecciano i fili dell’amicizia, dell’amore, della separazione.
Il regista, Jacques Audiard, segue una cartografia dei sentimenti senza mai scadere nel sentimentalismo. Lo fa impastando la realtà con umana durezza (suo “Il profeta” e suo “Un sapore di ruggine e ossa”).
Nel film, mentre la figura maschile di Emilie è appena abbozzata – vanesio, cinico, meccanico Don Giovanni – molto curata, probabilmente per via delle sceneggiatrici Celine Sciamma e Léa Mysius, è la psicologia femminile.
Erratiche, Camille, Nora, Amber peregrinano tra uomini diversi, nutrono come una seconda pelle l’incertezza emotiva. Questo surfare sulla liquidità delle relazioni si accompagna a brividi di diffidenza, molto tradizionale, molto antica: “Lui mi sta lasciando, mi tradisce, non mi rende felice”.
Le tre donne passano dal rifiuto del proprio corpo, nascosto dietro un computer, modificato da una parrucca, raccontato attraverso lo smartphone, alla disperata ricerca di un legame vero, che abbia un valore ai loro occhi. All’inizio le vediamo decidere regole, prendere le distanze, negare la rabbia, il dolore, i turbamenti. Poi, dall’incertezza identitaria, per i quattro protagonisti c’è un finale diverso, forse di maturazione, forse di curiosità (e necessità) relazionale.
Visivamente, il film è dominato da un bianco e nero elegante; unica scena a colori quella dove Amber Sweet si esibisce nel porno live.
Quanto al rapporto tra emancipazione e desiderio, che nel ‘68 avrebbe dovuto nobilitare la rivoluzione sessuale, guardando “Parigi,13Arr.” non siamo sicure che abbia avuto un esito felice.

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