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In una parola / Ennio, la musica e la pace

7 Aprile 2022

Pubblicato sul manifesto il 29 marzo 2022 –

Come reagire agli orrori delle immagini, all’imbarbarimento del linguaggio, e dei sentimenti che lo animano, che questo tempo di guerra ci rovescia addosso?
Forse cercando altre forme di espressione, altre manifestazioni dei sentimenti meno rigidamente iscritte nella grammatica delle parole che non ammettono interpretazioni, bloccano lo scambio, l’ascolto, la curiosità verso l’altro. Un’altra persona. Un altro punto di vista.
Ripenso alle emozioni provate assistendo, giorni fa, al bel film di Tornatore su Ennio Morricone. Ne ha parlato su questo giornale Gian Antonio Nazzaro.
Avevo qualche piccola riserva sulla musica di Morricone. Lui stesso diceva di alcune delle colonne sonore dei western di Sergio Leone che erano cose da non giudicare seriamente. Una capacità sorniona di arrivare all’orecchio e al cuore dello spettatore-ascoltatore con trovate musicali e effetti acustici “facili”, sia pure costruiti sulla base di una enorme cultura e perizia tecnica.
Invece quelle due ore e mezzo di musica, di testimonianze ammirate e affettuose, di parole dette dal maestro, mi hanno convinto del tutto. Forse esagera Quentin Tarantino che lo paragona a Mozart, Beethoven, Schubert, ma certo Morricone è stato e resterà chissà per quanto un grande. Un grande nella capacità di unire così intimamente l’invenzione musicale con le trame, i contenuti, i personaggi di quello spettacolo straordinario che sono i film moderni.
Per molti di questi film, come ha osservato Bernardo Bertolucci per il suo “Novecento”, la colonna sonora è una specie di “film parallelo”. Anzi, direi che è l’anima che da vita e espressione, sentimento, a un’azione scenica che non potrebbe essere in nessun caso la stessa priva di quel racconto di note suonate “in parallelo” ma inestricabilmente intrecciate al dramma rappresentato. Tanto che spesso le musiche erano eseguite in diretta mentre si riprendevano le scene di questo o quel film (per esempio “C’era una volta in America”).
Una nuova forma di melodramma? Di “opera totale” wagneriana?
Mi è capitato di ascoltare anche musiche “classiche” dell’allievo di Goffredo Petrassi, ma ignoravo che Morricone avesse vissuto con tanta amarezza il non essere riconosciuto, almeno fino a un certo punto, dall’ambiente accademico della musica contemporanea. Fino a una tardiva ma evidentemente convinta, oltre che suffragata da un enorme successo mondiale, soddisfazione nell’aver saputo unire così magistralmente la “musica assoluta” e il cinema. Un’altra mia lacuna era la quantità incredibile e la varietà delle colonne sonore, degli arrangiamenti, delle canzoni, delle composizioni che sono uscite dalle mani e dalla testa di Morricone. Capace di impegnarsi nelle sperimentazioni avanguardistiche di “Nuova consonanza” così come nel lancio delle canzoni di Gianni Morandi, o nella composizione, per Mina, della bellissima “Se telefonando”.
Se la musica di Morricone riesce a “drammatizzare” persino la recitazione di Clint Eastwood – impareggiabile battuta dell’attore e regista (e jazzista) – è perché ha alle spalle un cultura musicale che tiene insieme John Cage, Bach, Monteverdi, le orchestrine dell’avanspettacolo, e l’elenco continuerebbe chissà quanto.
Alla fine mi sono commosso ascoltando il concerto che mette insieme i tre temi della colonna sonora di “The Mission”: la “melodia dell’oboe”, il mottetto cantato in latino, il ballo percussivo dei nativi americani. Morricone dice di essersi accorto solo dopo averli composti che erano sovrapponibili contrappuntisticamente. Sarà vero, o un altro piccolo vezzo sornione.
Questa musica che evoca le tragedie del colonialismo è per me una attualissima musica di pace.

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