“E cosa accadrebbe se, come nelle scienze, anche qui lo scopo storico della guerra fosse innanzitutto una connessione ed un contatto più stretto ed articolato degli Stati europei; se entrasse in gioco un nuovo movimento dell’Europa, fino ad ora sonnecchiante; se l’Europa volesse risvegliarsi; se ci attendesse uno Stato composto da Stati, una “dottrina della scienza” politica!”.
Non sono parole di questi giorni, magari di un illuso utopista che pensa ancora a un ruolo pacifico, se esistessero, degli “Stati Uniti d’Europa”. Le ha scritte Georg Philipp Friederich von Hardenberg, in arte Novalis, nel 1799, due anni prima di morire non ancora trentenne, nel saggio Cristianesimo o Europa.
Mi ci ha fatto pensare l’editoriale di Antonio Polito sul Corriere della sera di giovedì scorso: la guerra in Ucraina, radicata in questioni territoriali che potrebbero apparire “locali”, sta via via assumendo il tenore di uno “scontro di civiltà”, secondo la definizione di Samuel Huntington. Questo è particolarmente vero per le motivazioni “etiche”, rudemente reazionarie, che al conflitto attribuiscono sia Putin, sia il patriarca ortodosso Kirill.
Io temo che anche da parte occidentale si rafforzino posizioni “etiche” secondo le quali il bene sta solo da questa parte del mondo.
Ho apprezzato la conclusione di Polito. Va fermato l’espansionismo russo, che ha radici antiche. Va aiutata la democrazia Ucraina. “Ma dobbiamo resistere per parte nostra – ha scritto – alla tentazione dello “scontro di civiltà”” per “poter convivere in pace un giorno nella casa comune del continente europeo. Ma dobbiamo ricordare che dentro la tragedia della Russia di oggi c’è anche il nostro passato. E dobbiamo sperare che modernità e razionalità non siano precluse alla Russia di domani”.
Ma torniamo a Novalis. Il punto che vorrei discutere riguarda l’affermazione di Polito che un principio razionale e “liberale” che informa le società occidentali deriverebbe dall’Illuminismo, mentre un mondo fondato “sulla comunità, sulla sua unità spirituale e mistica, una nazione fatta di «sangue e suolo»”, sarebbe figlio del Romanticismo.
C’è del vero naturalmente. Ma il testo di Novalis – uno degli inventori, per così dire, del Romanticismo – osava proporre una forma di incontro tra la “necessità dell’Illuminismo per il progresso della storia” e la religione come “criterio di intelligenza della storia”. Sognava un cristianesimo di nuovo ricco delle ispirazioni originarie, e un ruolo della Chiesa capace di dare sostanza spirituale a una Europa pacifica e ricca di cultura scientifica: le relazioni statali da sole non avrebbero garantito quella “pace perpetua” che Kant aveva appena invocato razionalmente. Quando lessi questo testo, anni fa, pensai: ecco il programma che manca al Pd!…
Dopo la Rivoluzione francese e con l’ascesa di Napoleone, un destino di guerre sempre più disastrose in Europa era previsto da molti. Come evitarle? La risposta di Novalis peccava di ottimismo, sia verso le nuove acquisizioni della scienza e della filosofia del suo tempo, sia verso la capacità del cristianesimo di rigenerarsi.
Eppure, nel mondo delle pandemie e delle guerre endemiche, della scienza e della tecnica che sembrano impotenti (anzi, persino corresponsabili) di fronte il disastro ambientale e, ancor più, di fronte ai disastri mentali che viviamo, quelle parole “romantiche” non sono ancora ricche di senso?
Ma forse ne scrivo solo per nostalgia delle tante discussioni all’Unità diretta da Gerardo Chiaromonte. Si sperava in Gorbaciov… Antonio era uno dei capiredattori, io gestivo il servizio economico. Non eravamo d’accordo (quasi) mai….