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relazioni politiche, dal quartiere al mondo

In una parola / Da Roma a Kiev e a Ankara

1 Febbraio 2022
di Alberto Leiss

Sezen Aksu

Pubblicato sul manifesto il 25 gennaio 2022 – Metto nel sito con ritardo questo articolo, chiarendo anche meglio, nel testo, il riferimento a Ankara. Non ci ho azzeccato a prevedere che alla fine si sarebbe piovuti per il Quirinale su Draghi o su Cartabia (lei non sarebbe stata la scelta migliore?). Per un attimo mi sono sentito solidale con Giorgia Meloni: “Non voglio crederci…”. (A.L.)

Scrivo mentre in Parlamento si comincia a votare per il nuovo Capo dello Stato. Sono curioso, ma se dicessi che la cosa mi appassiona davvero, mentirei. Sono annunciate schede bianche da parte di quasi tutti, e questa non-scelta viene interpretata come di buon auspicio per raggiungere in fretta un accordo intorno al quale si chiacchiera da un anno (dall’incarico a Draghi, che già appariva predestinato al “più alto Colle”).
Si fanno altri due nomi: Marta Cartabia, scelta dal gruppo di Calenda e da Più Europa, e Carlo Nordio, magistrato in pensione stimato da garantisti trasversali, indicato da Giorgia Meloni. Ci si divertirà poi a interpretare il senso di altre impreviste schede non bianche…
Ci sono cose che non capisco, come l’allusione del segretario Pd a un reincarico a Mattarella, il quale ogni giorno segnala in tutti i modi che non ne vuole sentir parlare. Sbaglierò, ma alla fine saranno i nomi di Draghi o Cartabia quelli “papabili”.
Più interessante sarebbe riflettere su come reagire alla crisi sempre più grave del sistema democratico. L’attuale personalismo nel vuoto delle vecchie culture politiche, se non il presidenzialismo di fatto, la pochissima autorità e lo scarso funzionamento del Parlamento, non richiederebbero qualche invenzione, al di là della difesa di principi costituzionali ormai da tempo disattesi? E a questo aggiungerei la debolezza e la scarsa affidabilità sempre più evidente del sistema dell’informazione, precondizione essenziale di una democrazia decente, e i difetti – a dir poco – che la gestione della pandemia ha svelato nel sistema delle autonomie regionali – nella sanità, ma non solo – con il ruolo dei cosiddetti “governatori”.
Ma preoccupa di più quello che accade intorno a noi.
Russia e America si stanno parlando, ma fanno notizia i movimenti di truppe, in atto o minacciati, da una parte e dell’altra dell’Ucraina. A forza di ammassare armi e di giocare alla guerra il rischio che poi parta un colpo di troppo nel cuore dell’Europa si fa serio. E gli analisti già prevedono, dopo una supposta invasione russa dell’Ucraina, che toccherà a Taiwan da parte della Cina. Quindi caro Occidente alle armi! Alle armi!
Se poi spostiamo lo sguardo alla Turchia, nostro “alleato” nella Nato e carceriere a pagamento europeo di qualche milione di profughi in fuga da vari inferni circostanti, non dimentichiamo la morte Ebru Timtik: “Se n’è andata – ha ricordato su Facebook Lorenzo Tosa – al 238esimo giorno di sciopero della fame con cui chiedeva un processo equo in un Paese in cui l’equità e la giustizia sono concetti inesistenti. Specie se sei donna. Specie se sei un’avvocata per i diritti umani. Specie se non pieghi la schiena di fronte a un potere che vorrebbe tapparti la bocca”. Era stata condannata a 13 anni di carcere con altri 18 avvocati, accusati di “terrorismo” poiché difensori di persone colpite dalla medesima imputazione. Poco prima di lei, quasi due anni fa, se ne erano andati dopo scioperi della fame İbrahim Gökçek, di 40 anni, Helin Bölek e Mustafa Koçak, di 28, del gruppo musicale Grup Yorum: avevano smesso di mangiare perché per le loro idee politiche dal 2016 non potevano fare concerti oltre a subire con altri e altre il carcere.
Il “sultano” turco, il “dittatore” (Draghi dixit) Erdogan, ora se la prende con la popolarissima cantante pop Sezen Aksu perché in una canzone di successo si esprime in modo non riguardoso verso le figure di Adamo e Eva, sacre per la religione islamica. «Nessuno – ha detto – può diffamare sua eccellenza Adamo, è nostro dovere spezzare queste lingue». E già – scrive Monica Ricci Sargentini del Corriere della sera – la burocrazia statale minaccia i media: non trasmettano le sue canzoni! Il nobel Pamuk ha solidarizzato con lei, dicendo che milioni di persone la difendono. E lei a Erdogan ha risposto: “Non mi spezzerai la lingua. Io ho la mia voce, i miei strumenti, la mia parola”.
La mia parola oggi è la sua (con rispetto per Adamo, e molto di più per Eva).

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