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Il lavoro “cattivo”

1 Luglio 2021
di Letizia Paolozzi

Siamo alla “ripartenza”. Ma Luana D’Orazio, Adil Belakhdim e Camara Fantamadi, al di là della differenza del loro sesso, del tipo di fatica cui si piegavano, insomma, al di là delle loro vite, una cosa hanno in comune: l’essere morti di lavoro, di esasperazione dello sfruttamento. E questo più che “ripartenza” è un ritorno al passato. Un passato persino peggiore?
All’azienda di Montemurlo (Prato), Luana, madre di un bambino di cinque anni, viene risucchiata dal rullo di una macchina tessile. Lavorava da operaia apprendista, spesso da sola mentre avrebbe dovuto seguirla un tutor. Secondo una perizia, la protezione sull’orditoio era stata tolta per far funzionare i macchinari più velocemente. Questione di tempo, questione di produttività.
“Siamo tutti Adil” recitano gli slogan nella manifestazione di Si Cobas e Usb. Adil Belakhdim, originario del Marocco, coordinatore di Si Cobas, 37 anni, è travolto durante un picchetto al centro distribuzione Lidi di Biandrate, nel Novarese. Lascia due figli. Con la stessa dinamica, a Piacenza, era finito sotto un tir, nel 2016, l’operaio egiziano Abdelssalam Eldanf. Memoria di guerra tra poveri.
L’autista che ha forzato il blocco e trascinato Adil, Alessio Spaziano, ha 25 anni, anche lui due figli, vive a Baia e Latina nell’Alto Casertano. Ogni settimana effettua consegne al nord per tornare a casa il fine settimana. Esempio di uno dei tanti corpi spremuti per stare nei tempi. Ricatto delle ore che passano.
Sullo sfruttamento nella logistica chi vuole non ha che da informarsi: agli addetti smistamento pacchi (fino a 35 chili) spesso sono riservati ritmi veloci, cottimo spinto, lavoro nero, “black, black” ovvero busta paga contraffatta per il permesso di soggiorno, 900 euro per dieci-dodici ore al giorno, contratti inesistenti forniti da organizzazioni fittizie, da cooperative bacate.
Le aggressioni nella logistica si ripetono. A San Giuliano Milanese, al presidio della Zampieri di Tavazzano (Lodi), facchini licenziati che vogliono evitare la chiusura dell’hub Fedex-Tnt, vengono picchiati da bodyguard di una cooperativa in subappalto. Episodi e scontri magari “di lieve entità” nei quali la polizia sta a guardare l’odio che cresce tra interni e esterni, dietro e davanti ai cancelli.
Altro che fine del lavoro. Qui siamo al lavoro senza tutele. La ripresa dei consumi dopo il Covid spinge “la legge” della domanda e dell’offerta. Non c’è interesse (ma c’è mai stato?) per la qualità della vita delle persone. D’altronde, gli immigrati possono essere presi e licenziati a seconda degli ordini da smaltire.
Niente di nuovo dopo la pandemia? C’è violenza e ritorno del passato che non passa, nel modo di lavorare, negli incidenti sul lavoro. Però gli immigrati stranieri hanno sostituito i meridionali di Trevico-Torino.
Maurizio Gardini, presidente della Confcooperative, dice che “anche i lavoratori dei trasporti operano spesso in contesti di degrado dei rapporti. In cui la violenza diventa l’unica risposta” (intervista al “Corriere della Sera” del 20 giugno).
Il segretario della Cgil, Maurizio Landini, alla manifestazione del 26 giugno per prolungare il blocco dei licenziamenti, dice che al giorno d’oggi “per lavorare devi essere disposto ad accettare ogni condizione di lavoro”. Ma la Cgil non “apprezza” il sindacalismo di base e mentre invoca l’unità, dimentica i più vulnerabili, i meno tutelati. Ti chiedi se le centrali cooperative e i sindacati confederali facciano davvero tutto ciò che dovrebbero fare.
Il discorso sullo sfruttamento in “stile” Amazon, dove i giganti della rete dettano la loro legge del “migliore dei mondi possibili” si può estendere all’alimentazione, ai lavori di cura, all’agroalimentare.
Premi di merito, premi di produzione, premi di presenza te li sottraggono se sbagli, se non fai un tot di lavoro, se ti assenti più di un certo numero di giorni per malattia o per ferie. Comunque, nel 2021 avere un contratto rappresenta già un miracolo.
Camara Fantamadi, “cafone” originario del Mali, 27 anni, scende dalla bicicletta, piega le ginocchia e cade disteso a terra, nel Brindisino, dopo una giornata passata nei campi sotto il sole, a 40 gradi, per 6 euro all’ora. Senza contratto.
Qualcuno ricorda le lacrime della ex ministra della Politiche agricole, Teresa Bellanova, per l’emersione e la regolarizzazione dei braccianti che raccolgono pomodori nel foggiano, olive in Puglia, mele in Veneto. Gli invisibili sarebbero così diventati più visibili. Ma non è stato così: la regolarizzazioni, soprattutto nel lavoro agricolo, sono state molto poche. La salma di Camara Fantamadi tornerà nel suo paese grazie a una colletta nella quale sono stati raccolti più di ventimila euro.
La pandemia ha incrementato le diseguaglianze. Alla “ripartenza”, sempre lì siamo. Intanto, i facchini, i “cafoni”, le apprendiste operaie muoiono, uccisi dal lavoro “cattivo”. Non si può rincorrere e rimpiangere la conflittualità sociale del fordismo che è alle nostre spalle; tuttavia, una qualche forma di conflitto che intersechi differenti ambiti, che trasversalmente leghi lavori diversi, bisognerà trovarla. E intanto cercarla.

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