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Microcritiche / Figli peggiori dei padri nella nuova Marsiglia

23 Maggio 2021
di Ghisi Grütter

GLORIA MUNDI – Film di Robert Guédiguian. Con Ariane Ascaride, Jean-Pierre Daroussin, Gérard Meylan, Anaïs Demoustier, Robinson Stévenin, Lola Naymark, Grégoire Leprince-Ringuet, Francia 2019. Musiche di Michel Petrossian, fotografia di Pierre Milon –

Una mia amica ha definito questo regista il Ken Loach francese. È vero che in questo film Robert Guédiguian evidenzia la problematica di una classe sociale messa bene in luce negli ultimi due film dal regista britannico. E come nei film di Loach le nuove generazioni dei figli dei proletari non sono certo meglio dei genitori, anzi, sono viziate e consumiste.
Nell’intervista a Guédiguian che precede il film lui afferma che avrebbe voluto, piuttosto, fare una commedia e, in effetti, al di là del dato decisamente drammatico della vicenda, ce ne è uno un po’ grottesco che ogni tanto affiora specialmente quando parla di Daniel (Gérard Meylan) – l’ex galeotto-poeta che scrive haiku – e in qualche scena come ad esempio in quella dei due nonni in panchina sulla terrazza di fronte al mare. Ecco negli ultimi film di Ken Loach non mi pare ci sia molto spazio per l’ironia.
Il regista torna finalmente nella sua Marsiglia, che è indubbiamente la vera protagonista del film, quasi strabordante per la sua presenza. Siamo in una città trasformata radicalmente negli ultimi vent’anni da grandi lavori di rinnovo urbano. L’idea del progetto di riqualificazione delle aree portuali dismesse era della fine degli anni ’80, i lavori dell’Euro-Méditerranée iniziati nel 1995 e dieci anni dopo è stato previsto un ampliamento del progetto. Marsiglia è stata pensata con Barcellona come alter-ego, e oggi i suoi grattacieli materializzano il concetto della “modernizzazione”. È diventata una creativa città post-industriale cui hanno contribuito vari architetti di fama internazionale: Zaha Hadid con il quartier generale della compagnia di trasporto CMA CGM, Jean Nouvel con la Torre La Marsigliese, Stefano Boeri con La villa Méditerranée e Kengo Kuma che ha dato forma al museo immaginario, il «musée sans murs» dello scrittore francese André Malraux, cioé la torre con auditorium e terrazza panoramica. E sono solo alcuni esempi.
Il regista mostra una città ancora in costruzione, un cantiere infinito, e un sistema di superstrade che forma sacche urbane di ristagno, di miseria. Lì vivono Sylvie e Richard (Ariane Ascaride e Jean-Pierre Daroussin), una coppia di modeste origini: lui fa l’autista di autobus di linea, mentre lei fa le pulizie di notte nelle navi e negli ospedali, per guadagnare di più. Hanno due figlie: Aurore (Lola Naymark) sposata con Bruno (Grégoire Leprince-Ringuet) e Mathilda (Anaïs Demoustier), la più grande sposata con Nicolas (Robinson Stévenin), che partorisce Gloria proprio all’inizio del film sulle note del Requiem di Verdi e della ‘Pavane pour une infante defunte‘ di Ravel. Nei titoli di coda è scritto che la prima scena è un omaggio al breve film “Vita” di Artavazd Pelesjan, documentarista di origini armene anche lui.
In realtà Mathilda è figlia del primo compagno della madre, Daniel Ortega, che è finito in galera diversi anni prima. La bambina l’hanno chiamata così per un film visto in TV – ce ne sono almeno tre famosi: uno con Gena Rowlands, il suo remake con Sharon Stone e uno cileno con Paulina Garcìa, ma non si sa quale – e suo padre Nicolas fa l’autista (turistico) Uber.
Aurore e Bruno stanno bene finanziariamente, hanno un negozio “compro tutto” dove rimediamo vecchi oggetti a prezzi stracciati che poi riparano in un’officina dove fanno lavorare vari ragazzi al nero. Sono ragazzi avidi, attaccati ai soldi e molto meno teneri dei propri genitori.
Nel film vengono declinate tutte le varie possibili emozioni e combinazioni tra i vari membri della famiglia. Ed è proprio nello scarto generazionale che il regista mostra un inesorabile raggiungimento di egoismo e di invidia, tipici di questo nuovo millennio. “Gloria Mundi” ritrae la generazione più vecchia ancora umanitaria, sognatrice, potrei dire ideologica. Daniel, il personaggio più bello, è il più distaccato da tutto perché ha vissuto in un reale “altrove” ed è rimasto in un certo senso infantile anche nel suo essere poetico. Così confessa a Richard: «Quand’ero ragazzo, facevo di tutto per sfuggire a una vita come la vostra. Ora la invidio».
Nella città portuale e proletaria le persone prossime alla pensione possiedono ancora spirito di sacrificio, senso della gratitudine e dignità, mentre i figli, sono tratteggiati come esseri prevaricatori, privi di scrupoli e con una totale mancanza di solidarietà nei confronti altrui, perfino della stessa propria famiglia. È questo il lato più amaro del film – sic transit gloria mundi – che toglie ogni speranza nel futuro, in una città dove trionfano il capitalismo e il consumismo e dove sembrerebbe diminuito il tasso di disoccupazione dopo tutti gli interventi urbani e gli investimenti architettonici.
Come al solito l’usuale “compagnia” di attori di Guédiguian è molto brava, infatti “Gloria Mundi” è stato presentato al Festival del Cinema Internazionale di Venezia del 2019 dove Ariane Ascaride ha vinto la Coppia Volpi.

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