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Cerimonia degli addii a Clarice Petacci

28 Maggio 2021
di Gabriella Bonacchi

Al centro della guerra di Troia c’è una donna bellissima, Elena. Così cominciano le famose considerazioni di Simone Weil sull’imminenza del secondo conflitto mondiale, nella cui fase finale si colloca la storia di cui si occupa il libro di Mirella Serri.
Il nome della protagonista, il vero nome è Clarice e a me è subito venuto in mente un’altra donna assai più illustre: l’autrice de La passione secondo G.H, libro di culto del femminismo novecentesco. Dobbiamo a Clarice Lispector una delle più stringenti confutazioni della celebre chiusa del Tractatus di Wittgenstein sulla necessità di tacere riguardo a ciò di cui non si può parlare. Clarice, questa Clarice, trasforma il fallimento del linguaggio in un trionfo: lo splendore del linguaggio consiste nel cercare e non trovare la realtà di cui va in cerca. Proprio dal cercare e non trovare nasce la cosa che non conoscevo e che all’istante riconosco. L’indicibile mi potrà essere dato solo attraverso il fallimento del mio linguaggio.
Solo quando la costruzione si incrina si ottiene ciò che la costruzione – il linguaggio umano – non è riuscita ad ottenere. Solamente spogliando la parola di ogni senso pregresso si può esprimere l’inter-detto, ciò che secoli di elaborazione culturale hanno reso indicibile. E che cosa c’è di più indicibile nell’alba dell’Italia repubblicana del corpo di Clarice/Claretta?
Appeso a testa in giù, con la gonna scivolata a mostrare le cosce e il reggicalze d’epoca, il cadavere femminile spicca per la sua irregolare unicità. In mezzo a quei volti sfigurati (e non soltanto dall’esecuzione sommaria) spicca la femminilità di Claretta, paradossalmente equiparata ai maschi dalla morte violenta.
Il libro di Mirella Serri, aggraziata piroettatrice tra storia e narrativa, salta a piè pari l’ostacolo di una pesante e fuorviante narrativa e fruga in angoli assai meno visitati di una serie di avvenimenti che si ritiene saputa e risaputa. E, invece, saputa lo è davvero poco in quanto, come quasi tutte le vite femminili, anche la vicenda di Clarice/Claretta è relegata nei ripostigli della storia. Da Virginia Woolf abbiamo imparato, nelle ‘stanze tutte per noi’ in cui ci siamo autorizzate a dimorare, a soffermarci sulla dimensione privata degli eventi storici rovesciandone la tradizionale irrilevanza.
Scavando sulle favorite dei grandi monarchi francesi, e sugli scompigli prodotti dai gioielli della regina di turno, Benedetta Craveri ha ricostruito passaggi impervi della storia francese di antico regime. La storia del “privato” ha cessato, grazie al femminismo, di appartenere alla dimensione delle irrilevanti curiosità e oggi ci parla come e talora assai più delle grandi battaglie e delle successioni dinastiche.
Così, gli intrighi personali e familiari di Claretta gettano luce sul carattere minuzioso delle trame di potere. Siamo così di fronte a una storia di lunga durata, collocata nel ‘900, ma con antecedenti e con persistenze – ahimè – molto tenaci. Claretta teneva famiglia: ma non era la sola e (purtroppo) non lo è ancora oggi.
Mirella Serri ha ricostruito con puntiglio l’uso pubblico di una relazione privata: un risultato davvero formidabile.

Mirella Serri Claretta l’hitleriana. Storia della donna che non morì per amore di Mussolini, Longanesi, 2021.

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