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Microcritiche / Malcom e Marie, pensando a Liz e Richard

16 Febbraio 2021
di Ghisi Grütter

MALCOM & MARIE – FILM di Sam Levinson. Con John David Washington e Zendaya USA, Australia 2021. Fotografia di Marcell Rév. Su Netflix.

Malcom & Marie” è un bel pezzo teatrale scritto e diretto da Sam Levinson, il figlio dell’impegnato regista Barry (“Good morning Vietnam” 1987, “Rain man” 1988, “Sleepers” 1996).
Il kammerspiele, in bianco e nero a 35mm, narra la lunga notte che passano a Malibu un promettente regista di successo e la sua compagna dopo la sera dell’anteprima del primo lungometraggio di Malcolm “Assassination Nation“. Nella splendida villa fornita dalla compagnia di produzione, Malcom (interpretato da John David Washington) e Marie (interpretata da Zendaya) costituiscono una coppia innamorata, che vive insieme già da un po’ di tempo, in una serata che avrebbe dovuto essere felice, ma che man mano vira in un dramma pieno di incomprensioni, di rivendicazioni e di misunderstanding. Il tutto avviene a partire da quello che sembra essere un piccolo dettaglio: Malcom durante la serata mondana ha ringraziato un centinaio di persone, compresi i tecnici delle luci, del suono ecc., ma non ha ringraziato Marie, la cui vita è stata più che un’ispirazione per questo film. Praticamente sembra che il film narri proprio la sua storia di ex tossicomane e di come sia riuscita ad uscirne attraverso grandi sofferenze e umiliazioni.
Simbolicamente questo potrebbe significare che il cinema senza la “vita reale” non potrebbe esistere. In effetti in questi ultimi anni è difficile trovare dei soggetti nuovi al cinema; la maggior parte dei film o sono tratti da biografie o storie vere oppure da romanzi o libri.
La serata, dunque, sembrava iniziata allegramente con Malcolm che stava bevendo, cantando e ballando sulla musica di James Brown, mentre lei si accingeva a cuocere un piatto di pasta al formaggio. Qui Marie inizia a fare le sue recriminazioni che daranno luogo a tutta una serie di reciproci rinfacciamenti seguendo i quali lo spettatore passa dall’uno all’altra, cercando di capire chi dei due abbia ragione e dove sia la verità.
Lei è, o lo era fino a poco fa, un’attrice che però non ha recitato in quel film che racconta la sua storia e di cui Malcom non le ha dato credito in pubblico. Marie, infatti, non è stata proprio menzionata. Perché? Lui afferma che lei non ha voluto fare il provino mentre lei sostiene che non era stata sufficientemente stimolata. Marie è una brava attrice ed è convinta che molte scene le avrebbe recitate molto meglio dell’artista protagonista prescelta, se non altro perché erano storia di vita vissuta.
Malcolm è una persona estremamente narcisista tutta presa da se stessa, dal suo lavoro e dal suo ruolo di artista. È convinto che alla vita di lei si è solo appena ispirato e, per contro, le rinfaccia di averla aiutata molto e di aver contribuito notevolmente alla sua disintossicazione dalle droghe. Quindi non le attribuisce alcun merito nella stesura della sceneggiatura. Ciononostante, in modo fagocitante, le chiede il suo totale supporto.
A Malcom non sta bene neanche un’ottima critica appena uscita su una rivista specializzata – che definisce il suo film “un autentico capolavoro” – perché gli sembra che lo costringa nel cliché politico di regista afroamericano. Le parole del critico non corrispondono, secondo lui, all’essenza del film e non captano quello che lui aveva in mente. Il cinema, secondo Malcolm deve essere emozione e non deve a tutti i costi contenere un messaggio; cita dunque alcuni registi che hanno fatto film importanti – tra cui anche Gillo Pontecorvo con “La battaglia di Algeri – senza che il tema politico ne condizionasse lo sviluppo, né che la propria identità e “genere” subordinassero le scelte.
Così tra un riavvicinamento e una discussione va avanti tutta la notte (forse qua e la si sarebbe potuto tagliare qualche ripetizione).
Questo film mi ha evocato altri incontri/scontri di coppia. Celebre fra tutti l’accoppiata Elisabeth Taylor e Richard Burton in “Chi ha paura di Virginia Wolf” del 1966 di Mike Nichols, tratto dalla commedia teatrale di Edward Albee. Lei è la figlia del Rettore, sposata con George, il Professore di Storia con cui vive a Northampton, Massachusetts. Ha il vizio del bere che, unito alla noia e all’insoddisfazione, l’ha resa instabile. Una notte, di ritorno da un party in compagnia di una giovane coppia di amici, Martha e George cominciano a litigare rinfacciandosi le cose più orrende e insultandosi ignominiosamente.
Come non riscontrare anche un’analogia con il film di Roman Polanski del 2013 “Venere in pelliccia”, l’adattamento di uno spettacolo teatrale di David Ives: la storia di un regista e di un’attrice che desidera ardentemente avere una parte.
Quello che comunque sorprende è la maturità di un regista relativamente giovane anche se figlio d’arte, noto più per alcune serie televisive come “Euphoria” che per veri e propri lungometraggi. Anche gli attori colpiscono per la loro inaspettata bravura, rivelando notevoli doti drammatiche: John David Washington, figlio del più noto (e amato) Denzel, l’avevamo visto solo nel recente “Tenet” di Christopher Nolan, mentre Zendaya aveva iniziato la sua carriera come cantante e ballerina.

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