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Microcritiche / Interpretare il lutto nell’inverno di Boston

11 Gennaio 2021
di Ghisi Grütter

PIECES OF A WOMAN – Film di Kornél Mundruczó. Con Vanessa Kirby, Shia LaBoeuf, Ellen Burstyn, Molly Parker, Sarah Snnok, Benny Safdie, Iliza Shlesinger, Canada Ungheria 2020. Fotografia di Benjamin Loeb, musiche di Howard Shore. Visto su Netflix –

Kornél Mundruczó è un regista ungherese che gira film insieme alla compagna Kata Wéber in qualità di sceneggiatrice. “Pieces of a Woman” è anche una loro pièce teatrale in due atti, da cui il regista ha tratto il lungometraggio.
La vicenda – ispirata a un’esperienza simile vissuta dagli stessi Wéber e Mundruczó – è ambientata durante un lungo inverno a Boston, ritratta con una splendida fotografia. Le atmosfere nordiche, fredde e nebbiose, con ghiaccio e neve, accompagnano il dramma che vive la protagonista, interpretata magistralmente da Vanessa Kirby, che ci ha vinto infatti la Coppa Volpi 2020 per la migliore interpretazione femminile.
Martha e il suo compagno Sean (un bravissimo Shia LaBeouf) vivono insieme a Boston in un red brick building e sono alla soglia della genitorialità. Nella stessa città abitano anche la madre (una splendida Ellen Burstyn) e la sorella (interpretata da Iliza Shlesinger) di lei, con il marito. Sean fa il manovale ed è impegnato nella costruzione di un ponte sopra il Charles River; non è particolarmente apprezzato dalla madre di Martha che non condivide gli amori proletari della figlia. Si è appena comprato una macchina nuova più grande, in previsione della nascita della figlia Yvette, che hanno deciso di far nascere in casa.
Il film si apre con un unico piano-sequenza di 23 minuti attaccato ai volti, ai movimenti e ai corpi dei protagonisti, in uno stile simile a quello di John Cassavetes. In tal modo, con dovizia di particolari, Mundruczó rappresenta il parto, assistito dall’ostetrica Eva (interpretata da Molly Parker). Ma qualcosa andrà storto e la bambina vivrà solo pochi minuti: l’ambulanza è stata chiamata troppo tardi per lei.
Così il film narra i difficili mesi che seguono questo triste evento e mostra i modi diversi di viversi il lutto. Un tema inusuale per la cinematografia forse perché è difficile da rivelarlo attraverso le immagini. In una specie di ribaltamento delle parti è Martha, la madre, a chiudersi e a non mostrare emozioni, mentre Sean, il padre, si dispera e piange. Martha sembrerebbe voler rimuovere l’accaduto e staccarsi dal ricordo della bambina: disfa la stanza che aveva arredato amorevolmente, decide di donare il suo corpicino all’Università per portare avanti ricerche mediche e non vuole neanche affrontare la causa all’ostetrica. La si vede girovagare un po’ smarrita per una Boston innevata, tra uno shopping-center e una libreria.
Sean invece riprende a fumare e, purtroppo, anche a bere dopo tanti anni. Cerca anche di avere dei rapporti sessuali che possano riempirgli il vuoto affettivo. Alla fine, distrutto, finirà per partire e andare a lavorare a Seattle.
La madre di Martha, nata in pieno Olocausto, è un’ebrea sopravvissuta, una donna combattiva con un alto senso di giustizia e di rivalsa. Nei confronti della figlia risulta piuttosto invadente – forse senza neanche rendersene conto -, vuole provocare in lei una reazione e la spinge a reagire in modalità e in tempi diversi da quelli soggettivi e individuali di Martha stessa. Infatti, a lei ci vorrà un anno di tempo per vincere quello strano torpore e assenza di emozioni nella quale è avvolta.
L’atmosfera invernale nordica del dramma, il lutto per i figli, i sensi di colpa per non aver potuto evitare la tragedia, mi hanno ricordato quelli rappresentati in “Manchester-by-the-Sea” dal regista Kenneth Lonergan (2016). Anche lì, infatti, i genitori dei bambini che avevano perso la vita in un incendio, hanno reagito in modi diametralmente diversi nei confronti della perdita: Lee Chandler era andato via, si era trasferito a Boston per fare il portiere in un condominio, mentre la moglie Randi era riuscita a rifarsi una vita, si era risposata ed era rimasta di nuovo incinta.
Kornél Mundruczó è stato vincitore del premio Un Certain Regard del 2014 per il film “White God – Sinfonia per Hagen”, considerato un grido di allarme nei confronti della crescente intolleranza verso la diversità, in Ungheria in particolare, ma anche in tutta l’Europa in generale.
Prodotto da Martin Scorsese e presentato alla 77ma Mostra Internazionale d’arte cinematografica di Venezia, “Pieces of a Woman” rivela una eccezionale prova attoriale di tutti gli artisti che vi hanno recitato.

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