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Microcritiche / Lo zio gay dell’America profonda anni ’70

1 Dicembre 2020
di Ghisi Grütter

UNCLE FRANK – Film di Allan Ball. Con Paul Bettany, Sophie Lillis, Peter Macdissi, Stephen Root, Margo Martindale, Steve Zahan, USA 2020. Fotografia di Khalid Mohtaseb, musica di Nathan Barr. Visto su Amazon Prime Video –

Sembra quasi impossibile che solo cinquant’anni fa negli Stati Uniti gli omosessuali potessero finire in galera. Erano considerati dei pervertiti che peccavano contro Dio, così almeno nella Carolina del Sud a Creekville, un piccolissimo centro cattolico abitato prevalentemente da bianchi.
Siamo all’inizio negli anni ’70 e Beth Bledsoe (interpretata da Sophie Lillis) lì non aveva mai conosciuto un omosessuale o se anche fosse successo lei non lo aveva saputo. È nata e cresciuta a Creekville e, tra i vari membri della famiglia, ha sempre avuto una particolare simpatia verso lo zio (interpretato da Paul Bettany) che vede raramente, solo alle feste familiari, perché vive a New York dove insegna. È un intellettuale gentile e garbato, le suggerisce e talvolta le presta dei libri da leggere come, ad esempio “Madame Bovary”. Cerca di spingerla verso una sua autonomia e autodeterminazione. «Sarai la persona che tu decidi di essere o quella che tutti gli altri ti dicono di essere? La scelta spetta a te, soltanto a te» le dice lo zio Frank.
Così lei lascia la Carolina del Sud e va a studiare al New York college dove scoprirà, quasi casualmente, che lo zio invece di dividere l’appartamento con un roommate lo divide con Willy (Peter Macdissi), suo partner decennale, essendo entrambi gay.
Un certo giorno muore d’improvviso il pater familias (padre di Frank e nonno di Beth). Il lutto familiare farà tornare a Creekville Frank e Beth in macchina insieme (la madre di Beth non voleva che lei prendesse l’aereo!) mentre Willy – non dandosi per vinto per essere stato lasciato a New York – prenderà un’auto in affitto e li seguirà, per colmare di attenzioni il compagno in un momento difficile. In tal modo, dal momento in cui partono per tornare a casa ed essere presenti al funerale, il film diventa un road movie. Durante il percorso si intensifica il rapporto tra zio e nipote. Beth incuriosita si fa raccontare un po’ di dettagli dell’omosessualità dello zio: «quando te ne sei accorto? A che età il primo rapporto?» e così via.
Una volta arrivati nella cittadina vanno tutti e tre a dormire in albergo. Poi zio e nipote si dirigono verso la veglia funebre da cui, ovviamente, è escluso Willy, perché nessuno deve sapere dell’omosessualità di Frank.
Così attraverso vari flash back, si viene a sapere che il padre di Frank (interpretato da Stephen Root) lo aveva scoperto ragazzino, in atteggiamento intimo, con Sam il suo amichetto e compagno di scuola.
Da lì un dictat: «Se vi scopro ancora insieme vi uccido tutti e due». Tanto era grave il peccato! Frank all’epoca ubbidì e lasciò l’amichetto “pervertito” e “finocchio”, il quale, per disperazione, si uccise buttandosi nel lago e lasciandogli una lettera scritta.
Questo è il vero dramma di Frank che si sente a tutt’oggi responsabile della morte di Sam, mentre da allora ha nutrito un sentimento contrastante nei confronti del proprio padre accusatore e, in fondo, il vero responsabile di questa morte.
Attraverso vari colpi di scena che non voglio narrare sarà ritrovata una sorta di equilibrio che consentirà una rappacificazione di Frank e Beth con l’ambiente e con il luogo fisico dove entrambi sono nati e cresciuti.
Frank Bledsoe in fondo costituisce un simbolo, rappresenta tutti coloro che hanno dovuto, e devono ancora dire, il falso per essere accettati, coloro che hanno dovuto costruirsi un’immagine fasulla per presentarsi al mondo, costretti ad indossare un abito diverso dal proprio.
Lo sceneggiatore e regista Allan Ball, che era stato premiato nel 2000 con l’Oscar alla sceneggiatura per “American Beauty” di Sam Mendes, qui si cimenta anche nella regia. È inoltre un ottimo autore di serie TV come “True Blood” e “Six Feet Under”.
La storia può essere considerata per certi versi autobiografica perché anche Allan Ball viene da un paese del profondo sud (Atlanta, Georgia) e anche lui è stato cresciuto da genitori conservatori. Ball è inoltre un sostenitore della battaglia LGBTQ in quanto omosessuale dichiarato.
Il film è garbato, i sentimenti sono contenuti ed espressi per lo più nel volto del protagonista in una sua ottima prova attoriale. I colori sono chiari, luminosi, e la natura è predominante nella fotografia intensa ma discreta di Khalid Mohtaseb.

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