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Microcritiche / Duello in bianco e nero tra Mank e Orson

10 Dicembre 2020
di Ghisi Grütter

MANK – Film di David Fincher. Con Gary Oldman, Lily Collins, Amanda Seyfried, Arliss Howard, Tom Burke, Charles Dance, Toby Leonard Moore, USA 2020. Musica di Trent Reznor e Atticus Ross –

Quasi sempre quando un film parla di cinema è ben accetto dalla critica. Se poi parla di uno dei mostri sacri, ancora meglio! È il caso del film prodotto da Netflix dal titolo “Mank”, il diminutivo che sta per Herman J. Mankiewicz (interpretato da Gary Oldman), sceneggiatore di “Quarto Potere” (“Citizen Kane” in originale) del 1941.
Il regista David Fincher, confeziona un raffinatissimo film in bianco e nero – una sorta di operazione vintage inusuale per la sua produzione – ambientato nel 1940 e si sofferma sul passaggio dal muto al sonoro per donare «onore e voce alla parola», come disse Mank al potente editore William Randolph Hearst (interpretato da Charles Dance). E sarà proprio lui con la sua amante Marion Davies (Amanda Seyfried) a ispirare il personaggio di Kane del film “Quarto Potere”.
Mankiewicz è stato un intellettuale tagliente e sarcastico, non particolarmente amato all’epoca, ma rispettato e forse temuto. Prima di diventare uno sceneggiatore Mank era stato corrispondente da Berlino per il “Chicago Tribune”, critico drammatico per il “New Yorker” e il “New York Times” e anche drammaturgo. Herman era, inoltre, il fratello maggiore del regista Joseph (“Eva contro Eva”, “Improvvisamente l’estate scorsa”, “Un americano tranquillo”, “Cleopatra” ecc.), ma di carattere e di comportamento molto diversi. Fu, purtroppo, un grande bevitore, infatti morì a soli 55 anni riuscendo però a non farsi schiacciare da Orson Welles (interpretato da Tom Burke), all’epoca esordiente alla regia poco più che ventenne.
Il film di Fincher narra Mank recluso in un ranch a Victorville, distante da Hollywood, e costretto a letto con una gamba ingessata dopo un incidente di auto, che doveva elaborare la sceneggiatura di “Quarto Potere” in 90 giorni (poi diventati 60), coadiuvato da Rita Alexander (interpretata da Lily Collins), una giovane segretaria inglese, e da una infermiera-fisioterapista tedesca. Il copione alla fine fu firmato da entrambi (sia da Herman J. Mankiewicz sia da Orson Welles), e “Quarto Potere” ottenne l’Oscar per la migliore sceneggiatura nel 1942. Sulla collaborazione tra i due sono stati stesi fiumi di inchiostro e di interpretazioni varie che però non riguardano questo film; qui si vede solo che Mank, avendo intuito che il copione fosse uno dei suoi lavori migliori, volesse apparire come firma cui aveva inizialmente rinunciato solo per bisogno di lavorare.
La sceneggiatura e le vicende di “Mank” erano state scritte da Jake Fincher, padre del regista, una trentina di anni prima e mostrano in flashback uno spaccato vivace e spumeggiante della Hollywood negli anni Trenta, in una stagione fortunata. Sullo sfondo il contesto sociale e politico dove si cerca di superare del tutto la Grande Depressione mentre in Europa Hitler è in piena ascesa. Una lunga parte è dedicata alle elezioni a Governatore della California del 1934, con la candidatura dello scrittore socialista Upton Sinclair ostacolata dall’etablishment degli studios.
La ricostruzione ambientale è precisa e accurata; perfino Trent Reznor e Atticus Ross hanno composto musica usando solo strumenti autentici dell’epoca. Tra i vari flashback è molto bella la parte ambientata nei possedimenti del Castello Hearst alla festa di compleanno del produttore – e cofondatore della Metro Goldwyin Mayer – Louis B. Mayer (interpretato da Arliss Howard), piena di VIP hollywoodiani. Molti sono, inoltre, i personaggi famosi ritratti nel film: da David O’ Selznick (interpretato da Toby Leonard Moore) a Norma Shearer, da Joan Crawford a Clark Gable. Notevole e attuale è la battuta: «Dobbiamo riportare il pubblico al cinema… come?» con la risposta pungente di Mank: «Proiettiamo i film in strada».
L’unico difetto del film, a mio avviso, è che, talmente denso di battute dette molto velocemente, si fa un po’ fatica a captarle tutte.
Gary Oldman, inutile dirlo, è come al solito bravissimo e addirittura superbo nella sua interpretazione di un personaggio intelligente, sarcastico, non simpaticissimo – anche se denominato “l’uomo più divertente di New York” -, autodistruttivo e narcisista – ma lì in quel gruppo chi non lo era?

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