Pubblicato sul manifesto il 1 dicembre 2020 –
A leggere il Corriere della sera (di lunedì 30 novembre) è tutto vero. Il capo del Governo Conte pensa di costruire una sorta di “azione parallela” – il premier, che ha dimostrato civettuolamente doti di cultura in un colloquio con Magris pubblicato dalla Lettura (domenica 29 novembre), riconoscerebbe certo l’allusione a Musil – per gestire i progetti del Recovery Fund. Sembrerebbe una doviziosa invenzione barocca. In cima c’è la “cabina di regia” con Conte medesimo e i ministri economici Gualtieri e Patuanelli, ma il ministro per gli affari europei, Amendola, sarebbe graziosamente “invitato”. Subito sotto una falange di sei manager “con forti competenze”, uno per ogni ambito previsto dal piano europeo: digitale e innovazione, transizione ecologica, salute, infrastrutture (ma sostenibili!), istruzione e ricerca, inclusione sociale e territoriale. Ma i sei manager potrebbero a loro volta essere diretti da un Supermanager.
Al piano inferiore successivo ben 300 altri esperti, 50 per ogni ambito. Questa poderosa “macchina” che si sovrappone alla burocrazia dello Stato, potrebbe agire con “poteri sostitutivi”, e naturalmente c’è già qualcuno – da Carlo Calenda a Ettore Rosato (Italia Viva) a esponenti dell’opposizione – che grida all’esautoramento degli altri ministeri e teme che la confusione esploda catastroficamente.
Ma non basta. Si pensa anche a un “comitato di garanzia” per controllare il funzionamento del tutto. Ovviamente personalità – forse una decina – “di altissimo livello”. E sarebbe bello – pare abbia aggiunto Conte “sottovoce” – che a nominarlo fosse il presidente Mattarella.
È facile fare dell’ironia. Viene in mente l’immagine del “Deus ex machina”, il dio calato sul palcoscenico con qualche marchingegno che di colpo risolve le tragiche faccende. Ma se il meccanismo fosse disgraziatamente difettoso, ecco il patatrack!
Ad essere machiavellici si potrebbe pensare che Conte abbia gettato sul tavolo questo oggetto barocco per farselo contestare e ripiegare su qualcos’altro. Ma dietro la scena teatrale c’è qualcosa di serio.
A cominciare da una sfiducia pressochè totale sulle capacità della pubblica amministrazione. Un commentatore di sinistra – Antonio Floridia sul giornale on-line Striscia rossa – ha colto una frase del vicesegretario del Pd Orlando, il quale ha detto in TV che non è pensabile affidare la gestione del piano europeo alle mani di giuristi, avvocati e consiglieri di stato: “occorrono – oltre che economisti – ingegneri, urbanisti, sociologi… e occorre coinvolgere le tecnostrutture manageriali delle maggiori aziende italiane”. Insomma, una confessione sulla incapacità culturale, prima che tecnica, della burocrazia statale esistente a misurarsi con il Recovery Plan.
Ma chi garantisce che i “manager” saprebbero fare di meglio?
Il Domani (del 29 novembre) ha ipotizzato che i magnifici sei possano coincidere con gli amministratori delegati delle principali aziende controllate dallo Stato (Eni, Enel, Snam, Ferrovie, Leonardo-Finmeccanica, Cassa depositi e prestiti) affiancati dall’immancabile mister Wolf, Domenico Arcuri. Segnala maliziosamente che almeno due di essi sono coinvolti in vicende giudiziarie (Descalzi imputato di corruzione, Profumo condannato in primo grado per le vicende del Montepaschi). Aggiungerei un altro diffettuccio: sono tutti maschi. E già vedo le proteste e gli appelli per scongiurare il monosex in luoghi così importanti.
Probabilmente una struttura ad hoc per gestire il mitici 209 miliardi destinati all’Italia sarà necessaria. Ma non sarebbe meglio modellarla su un’idea più chiara di come si vorrebbe migliorare il paese, e accompagnarla col serio proposito di adeguare finalmente la cultura dell’apparato statale?